Papa: le mine-antiuomo continuano a uccidere

L’appello di papa Francesco a 25 anni dall’entrata in vigore del Trattato di Ottawa che le ha messe al bando. Al Sinodo degli armeno cattolici la vicinanza ai profughi del Nagrono-Karabach. Nella catechesi la riflessione sui vizi capitali dell’invidia e della vanagloria.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Le mine anti-uomo sono “ordigni subdoli” che “continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini anche molti anni dopo la fine delle ostilità”. È tornato a denunciarlo oggi papa Francesco al termine dell’udienza generale del mercoledì, ricordando che il 1 marzo ricorreranno i 25 anni dall’entrata in vigore del Trattato di Ottawa per la messa al bando di queste armi. Un accordo internazionale a cui aderiscono 164 Paesi del mondo, ma non grandi potenze come Stati Uniti, Russia, Cina e India.

“Esprimo la mia vicinanza alle vittime di questi subdoli ordigni – ha detto Francesco - che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate: il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale a essere operatori di pace prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle”.

A questo appello ha unito anche il richiamo a non dimenticare “i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi conto luoghi di culto in Burkina Faso – ha aggiunto - come pure la popolazione di Haiti dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate”. Poco prima – incontrando i membri del Sinodo del Patriarcato degli armeni di Cilicia, guidati dal patriarca armeno cattolico, aveva ricordato anche quanti sono fuggiti dal Nagorno-Karabakh cercando rifugio. “Tante guerre, tante sofferenze – ha commentato -. La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, “primizia” delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: “Basta!”. Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia”.

Nell’Aula Paolo VI Francesco - ancora alle prese con la fatica nel parlare per la sindrome influenzale - ha affidato la lettura del testo della catechesi a mons. Filippo  Ciampanelli della segreteria di Stato. Proseguendo la riflessione sui vizi e le virtù oggi si è soffermato sui due vizi capitali che la tradizione spirituale chiama indivia e vanagloria-
Alla base dell’invidia - ha osservato il papa - “c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui. L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente - pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte”. Ma dietro a questo c’è “una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua ‘matematica’, diversa dalla nostra. Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi”.

Collegata all’invidia è però anche la vanagloria: sono vizi propri di “una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore”. Il vanaglorioso “non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza”.

Come guarire da questo male? Il pontefice ha osservato che i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi, perché alla fine saranno le lodi stesse che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. “Quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate”, ha commentato Francesco. L’istruzione più bella - ha concluso dunque il pontefice - resta la testimonianza di san Paolo, che ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ricevendo da Gesù la risposta: “Ti basta la mia grazia”. E avendo capito che la forza si manifesta pienamente nella debolezza, nella Seconda Lettera ai Corinzi scrisse: ”Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,9).

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