Silsilah: da 30 anni cristiani e musulmani accanto ai carcerati di Zamboanga
di Santosh Digal

Il movimento per il dialogo interreligioso fondato a Mindanao da p. Sebastiano D'Ambra, missionario del Pime, è attivo anche nell'offrire ai detenuti percorsi formativi per quando riacquisteranno la libertà. Ma a causa della lentezza del sistema giudiziario filippino, moltissimi restano in carcere più del dovuto. "Prego che in questo periodo di Quaresima possano essere rilasciati”, ha raccontato Giljohn G. Rojas, coordinatore nella prigione di Zamboanga


Manila (AsiaNews) - Da 30 anni il Silsilah Dialogue Movement porta speranza, compassione e amore ai detenuti del carcere di Zamboanga City nella provincia di Zamboanga del Sur, nel sud delle Filippine. L'attività in favore dei detenuti è uno dei volti di questa iniziativa per il dialogo interreligioso a Mindanao: fondato dal missionario del Pime p. Sebastiano D'Ambra nel 1984, Silsilah (che significa “catena”) vede cristiani e musulmani lavorare insieme anche in tanti ambiti della vita sociale.

"Continuiamo a svolgere la nostra missione invitando altri membri di Silsilah da diverse città a prestare attenzione a questa missione specifica", ha dichiarato Giljohn G. Rojas, membro dello staff e nuovo coordinatore per il ministero carcerario nella prigione di Zamboanga. "Abbiamo raccolto le testimonianze di persone private della libertà che hanno condiviso con noi come sono state trasformate e come, grazie al progetto portato avanti da Silsilah, il loro tempo in prigione è stato ridotto”, ha raccontato.

Silsilah lavora con le istituzioni, la polizia e i volontari fornendo percorsi di formazione per ridurre la pena dei detenuti e prepararli al reinserimento quando torneranno in libertà. “Nei primi giorni di visita alla prigione, ero ansioso di parlare o interagire con i prigionieri. Oltre ad essere a disagio in quel momento, mi sentivo in conflitto, ansioso, timoroso e mi vergognavo. A poco a poco, quelle apprensioni sono sparite e hanno lasciato spazio alla fiducia reciproca”, ha detto Rojas, che, cercando di essere solidale con i detenuti, ha iniziato a “indossare colori simili a quelle delle uniformi dei prigionieri”. 

Il coordinatore del movimento a Zamboanga ha sottolineato l’importanza di trattare i prigionieri con amore e rispetto: “Essi sono nostri fratelli e figli amati da Dio, anche se non impeccabili. Hanno bisogno della misericordia di Dio e della nostra compassione, proprio come ciascuno di noi è imperfetto. Con tutti i nostri difetti, siamo amati. Ognuno di noi è amato”, ha detto Rojas.

Alcuni casi sono più strazianti di altri, come quello di un uomo condannato a otto anni, ma che, a causa della lungaggini del processo giudiziario, è in carcere da molto più tempo: "Non ho potuto guardare negli occhi questo prigioniero, che continua a sentirsi come se non gli fosse permesso di vivere la sua vita, anche dopo aver scontato più del doppio del tempo che gli era stato assegnato. Sta invecchiando, e ho riflettuto su quali possibilità avrebbe di sopravvivere fuori dalle mura della prigione se fosse rilasciato. Credo che gli sia stata negata non solo la libertà, ma anche molto di più”.

Molti casi sono ancora pendenti o procedono troppo lentamente. Parecchi prigionieri si aggrappano alla speranza che un giorno torneranno nella società, ma non sanno se saranno accettati o avranno di nuovo la possibilità di lavorare o studiare. O semplicemente se verrà data loro una seconda possibilità a causa del loro passato. “Ora capisco perché Gesù ha specificamente menzionato la visita alle persone incarcerate come un opera di misericordia: perché è un gesto nei Suoi confronti”, ha continuato Rojas. “Anche se hanno commesso crimini, sono più che semplici delinquenti. Sono esseri umani, fatti a immagine e somiglianza di Dio”. 

"Prego che in questo periodo di Quaresima possano uscire dal carcere”, ha proseguito il coordinatore. "Spesso ci chiudiamo per evitare di avere bisogno delle persone e anche che le persone abbiano bisogno di noi. A causa della nostra presunzione e del nostro interesse personale, ci confiniamo. E così finiamo anche imprigionati in questo carcere di nostra creazione. Prego che possiamo essere liberi di amare quanti sono amati da Dio, che sono i più trascurati dalla nostra società”.

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