Il governo della Malaysia ha incaricato un proprio ministro di andare in visita in Cina per proporre una serie di investimenti in un impianto di lavorazione. Difficile prevedere se Pechino farà un'eccezione al proprio divieto di esportazione di tecnologie per l’estrazione e la trasformazione di terre rare. La raffineria dovrebbe servire anche a ridurre il (fiorente) commercio illegale di minerali critici.
Kuala Lumpur (AsiaNews/Agenzie) - La Malaysia ha intenzione di rivolgersi alla Cina per massimizzare lo sfruttamento dei propri giacimenti di terre rare e ridurre le quantità di minerali contrabbandati illegalmente. Secondo quanto appreso dal quotidiano Straits Times, Kuala Lumpur ha incaricato il ministro della Scienza, della tecnologia e dell'innovazione, Chang Lih Kang, di andare in visita in Cina alla fine di aprile alla ricerca società disposta ad investire in un impianto di lavorazione in Malaysia. E questo nonostante Pechino, a dicembre dello scorso anno, abbia vietato l’esportazione di tecnologie per l’estrazione e la trasformazione di terre rare. Ma l’esecutivo della Malaysia spera di convincere il governo cinese a fare un’eccezione per creare una catena di approvvigionamento alternativa. “Esploreremo le opportunità per svolgere un ruolo più importante nella catena di approvvigionamento delle terre rare”, ha commentato Chang.
La Cina (sul cui territorio sono presenti 44 milioni di tonnellate di giacimenti) estrae circa il 60% delle terre rare di tutto il mondo e ne trasforma l'85%, gestendo di fatto un monopolio. Le terre rare sono un gruppo di minerali (che in alcuni Paesi, a dispetto del nome, si trovano in realtà in grande abbondanza) considerati fondamentali per la produzione di una serie di tecnologie contemporanee, dalle turbine eoliche alle batterie delle auto elettriche, dagli smartphone ai missili balistici. In Malaysia è già presente un impianto di lavorazione - il più grande al di fuori della Cina -, gestito dalla società australiana Lynas, ma al momento non riceve materiali dai giacimenti malesi. La Cina, al contrario, è l’unico Paese ad avere le capacità tecnologiche per la lavorazione di tutti i 17 elementi che compongono il gruppo delle terre rare.
A giugno dello scorso anno, il ministro delle risorse naturali e della sostenibilità ambientale Nik Nazmi Nik Ahmad aveva affermato che in Malaysia sono presenti oltre 16 milioni di tonnellate di minerali critici che valgono 800 miliardi di ringgit malesi, ma secondo gli esperti, con il progressivo aumento della domanda, i giacimenti malesi potrebbero arrivare a costare mille miliardi di ringgit, pari a circa 195 miliardi di euro.
Secondo dati sugli scambi relativi al 2023, la Malaysia ha esportato in Cina 975 milioni di ringgit di terre rare, diventando per Pechino la seconda principale fonte di importazione di minerali dopo il Myanmar.
Ma la costruzione di una raffineria in Malaysia dovrebbe servire anche a ridurre la quantità di minerali esportati illegalmente. La settimana scorsa, il ministro Nik Nazmi, durante un’udienza parlamentare, ha spiegato che solo 3mila tonnellate di alcuni minerali su un totale di 19mila tonnellate (meno di un sesto quindi) provenivano da esportazioni legali, generando una perdita di 200 milioni di ringgit. Per questa ragione a inizio anno è entrato in vigore un divieto sull’esportazione di terre rare non lavorate. Un’unica miniera, la sola riconosciuta dal governo, ha ricevuto un’esenzione fino alla fine di marzo e dovrà poi decidere se chiudere o iniziare una costosa operazione di stoccaggio dei minerali.
A settembre, il primo ministro malese Anwar Ibrahim aveva spiegato che il divieto aveva come obiettivo di “garantire i massimi ritorni per il Paese”. L’esecutivo prevede che, entro il prossimo anno, l’industria delle terre rare aggiungerà 9,5 miliardi di ringgit (2 miliardi di euro) al prodotto interno lordo e creerà 7mila nuovi posti di lavoro. Ma secondo gli esperti il divieto non avrà nessun effetto sul contrabbando di terre rare. “Le multe per questi reati possono arrivare a 10mila ringgit, che un contrabbandiere può guadagnare in un giorno”, ha detto una fonte a Straits Times.
Il governo malese aveva inoltre promesso di redigere un piano per la lavorazione delle terre rare, che al momento però risulta in sospeso. Tuttavia nel frattempo il deputato Howard Lee Chuan How è stato nominato a capo di un nuovo gruppo parlamentare per la gestione dei giacimenti minerari: “Dobbiamo avere una Petronas dei minerali critici”, ha detto Lee, riferendosi alla compagnia statale che gestisce su scala nazionale la distribuzione del gas e del petrolio. Secondo Lee, inoltre, è necessario applicare all’industria delle terre rare normative specifiche che vadano oltre i regolamenti generali adottati dal settore minerario per rendere il settore profittevole e contrastare le esportazioni illegali.