Calzini con la scritta 'Allah': indignazione tra i musulmani
di Joseph Masilamany

È diventato un caso nazionale l'iniziativa della catena Kk Supermart che ha messo in vendita gli indumenti, reputati offensivi. Sulla questione è intervenuto anche il primo ministro Anwar Ibrahim: "Punizione giusta, ma senza esagerare". Michael Kong, politico non musulmano del Borneo: "Malaysia Paese multietinico. Rispetto per ogni etnia e fede".


Kuala Lumpur (AsiaNews) - È un caso nazionale in Malaysia la messa in vendita di calzini riportanti la scritta “Allah” in diversi negozi della catena Kk Supermart, la cui distribuzione sembra iniziata nei minimarket di Petaling Jaya. Gli indumenti, largamente diffusi attraverso i social media - sono diventati virali soprattutto un video e uno screenshot - hanno scatenato l’indignazione di gran parte della popolazione musulmana (il legame tra etnia malese e islam è sancito dalla costituzione). È seguito un messaggio di scuse da parte di Kk Chia, il fondatore della catena, che però non è stato in grado di ridurre la tensione.

Ottanta denunce sono state raccolte a livello nazionale dalla polizia, che ha deciso di ascoltare otto persone presumibilmente coinvolte nel fatto, tra le quali proprio il proprietario di Kk Supermart & Superstore Sdn Bhd. 

Sulla questione sono intervenuti anche il sultano Ibrahim Sultan Iskandar e il primo ministro Datuk Anwar Ibrahim. Anwar ieri ha chiesto di continuare sulla linea della condanna dei responsabili, ma “senza esagerare”; lo ha fatto durante un evento per la rottura serale del digiuno di Ramadan, rivolgendosi ai malesi musulmani. Invitando tutte le parti a non insultare l’islam, ha infatti chiesto che la punizione non sia “eccessiva”. “Se ci sono segnalazioni di trasgressione, si deve agire immediatamente, le decisioni devono seguire i canali legali e procedere immediatamente”, ha affermato, sollecitando una veloce risoluzione della controversia. Chiedendo allo stesso tempo di non guardare alla questione come se fosse “una grande catastrofe nel Paese”. 

AsiaNews ha raccolto sull’accaduto anche il commento di due politici non musulmani dello Stato cristiano di Sarawak, nel Borneo. Il consigliere di Stato Baru Bian, un convinto uomo di chiesa evangelico, ha detto che “le autorità dovrebbero intraprendere un'azione immediata ai sensi del Codice penale contro i responsabili, per evitare un'ulteriore escalation di commenti inutili da parte di varie parti, che potrebbero minacciare l'armonia etnica di questo Paese”. Michael Kong, del Partito d'Azione Democratica dello Stato, ha aggiunto che “in un Paese multirazziale e multiculturale come la Malesia, è importante esercitare la comprensione verso altre etnie e fedi”. Occorre evitare di esporre e mettere in vendita merci offensive. “È positivo che il negozio si sia prontamente scusato. Da quello che ho letto, molti dei loro negozi hanno persino pubblicato le scuse e questo dimostra la loro sincerità e il loro rimorso”, ha aggiunto.

Da queso episodio si può apprendere "l'importanza di essere sensibili verso le altre etnie e fedi”, ha affermato Michael Kong. Un principio che nella teoria dovrebbe costituire un terreno comune tra le religioni, seguendo il valore di “amarsi l'un l’altro”. “Amare significa anche perdonare e dare agli altri una seconda possibilità per imparare dagli errori commessi”, ha detto Kong. Per questo motivo, alla diffusa indignazione non deve seguire una strumentalizzazione, che creerebbe ulteriori divisioni all'interno della comunità. “Dovremmo invece sfruttare questa opportunità per riunirci e mettere insieme le nostre teste per fare un brainstorming su ciò che possiamo fare per garantire che questo non accada in futuro", ha concluso.

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