Card. Zenari: le parole di Bruxelles e la Siria lasciata ancora sola
di Dario Salvi

I Paesi donatori si riuniscono per discutere della Sira, ma il Paese e la sua “guerra dimenticata” continuano a soffrire, la popolazione a fuggire (circa 500 al giorno). Ad AsiaNews il nunzio apostolico a Damasco parla di “processo politico stagnante” mentre ciò che “progredisce è la povertà”. L’esodo dei cristiani “un’altra grossa ferita che sanguina”. 


Milano (AsiaNews) - “Questa ottava conferenza di Bruxelles ha due facce, come una medaglia: da un lato è molto positiva e soddisfacente” perché è il segnale della “solidarietà internazionale” che rappresenta “un sorso di acqua nel deserto. Dall’altro, però, appare deludente” perché in tutto questo tempo, e sono passati anni, la situazione “è cambiata di poco, purtroppo, la povertà aumenta, lo stallo politico persiste”. È quanto sottolinea ad AsiaNews il nunzio apostolico a Damasco, il card. Mario Zenari, raggiunto a poche ore dall’incontro dei Paesi donatori riuniti ieri nella capitale belga, chiedendosi “di quante conferenze abbiamo ancora bisogno” perché la realtà possa cambiare in positivo e il Paese uscire dalla crisi. “Il processo politico è stagnante - prosegue il porporato - mentre quello che cammina e progredisce è la povertà: stando alle ultime statistiche Onu si hanno in Siria 16,7 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria, circa i trequarti della popolazione, con un aumento del 9% rispetto allo scorso anno. A causa della guerra il 90% è costretto a vivere al di sotto della soglia della povertà”. 

Conferenza di Bruxelles: un fallimento?

La guerra in Siria, che ha ucciso quasi mezzo milione di persone e provocato lo sfollamento interno di circa la metà dei 23 milioni di abitanti pre-conflitto, è da tempo in una fase di stallo, come lo sono gli sforzi globali per aggiungere una soluzione duratura. Nel frattempo milioni di siriani sono caduti in povertà e lottano per il cibo, l’acqua o le medicine. Le Nazioni Unite sperano di raccogliere oltre quattro miliardi di dollari in aiuti salvavita a sostegno dei 16,7 milioni di bisognosi interni o rifugiati nei Paesi vicini, in particolare Turchia, Libano e Giordania. Lo scorso anno i partecipanti hanno promesso 10,3 miliardi di dollari a pochi mesi dal devastante sisma che aveva devastato Turchia e Siria, stanziandone solo una parte. Inoltre le tensioni fra Iran e Occidente e la guerra fra Israele e Hamas a Gaza in risposta all’attacco del 7 ottobre, col coinvolgimento di altri attori (Houthi nel mar Rosso e le conseguenze sui commerci) hanno reso sempre più la Siria una “crisi dimenticata”. Vi è poi il tema dei rifugiati, in maggioranza fra Libano e Turchia - oltre ai milioni di sfollati interni - che vedono restringersi sempre più le prospettive di un ritorno a casa per la mancanza di stabilità, sia a livello politico che sociale. Infine, la conferenza stessa è cambiata con un calo di partecipazione a partire dalla delegazione russa, alleato chiave di Bashar al-Assad, che manca dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, e gli stessi Stati arabi del Golfo, in passato grandi finanziatori, investono sempre meno tempo e risorse.

Il card. Zenari, che da anni segue le vicende siriane dalla nunziatura a Damasco denunciando prima gli orrori del conflitto poi la “bomba della povertà” che miete più vittime delle armi, chiede di non guardare alla nazione “come un pezzente”. Al contrario, bisogna aiutarla a “stare in piedi e camminare con le proprie gambe” che è anche “più dignitoso”. E per farlo serve parlare di ricostruzione, di ripresa dell’economia, dell’industria, far ripartire o creare nuove fabbriche: “Ricordo quanto detto da papa Paolo VI nel 1967, che il nuovo nome della pace è lo sviluppo. Lo stesso qui in Siria, dove non vi può essere pace senza sviluppo; dove vi è miseria non si possono creare le condizioni per la pace. Siamo riconoscenti per questa solidarietà internazionale” sottolinea facendo riferimento a Bruxelles, ma “un sorso di acqua nel deserto non risolve il problema della povertà. Bisogna cominciare da una soluzione politica, perché pur essendo riconoscenti alle varie conferenze, esse sole non sono sufficienti. Ecco perché mi auguro questa ottava, sia anche l’ultima”.

Povertà e rifugiati

“Nel marzo scorso la Siria - ricorda il porporato - è entrata nel suo 14mo anniversario di guerra, ignorata dai media e dalla stessa comunità internazionale” con il 90% della popolazione “sotto la soglia della povertà: tutti concordano nell’affermare che la situazione è diventata più dura rispetto agli anni della guerra. Manca l’elettricità in gran parte della Siria, molta gente ha in media due ore al giorno di corrente elettrica; la sanità e la scuola sono un disastro; servono infrastrutture necessarie; l’economia è al collasso e la gente trova una soluzione alternative. Chi può - prosegue il card. Zenari - cerca di scappare, unica via di uscita da questo tunnel, soprattutto per i giovani molti qualificati” alla ricerca del “modo per varcare i confini e andare all’estero“.

Un altro fattore di emergenza è quello legato ai rifugiati: “La guerra si dice abbia causato circa mezzo milione di morti, tra i quali 29mila bambini e minorenni - afferma il nunzio apostolico - e circa 12 milioni, poco più della metà della popolazione pre-conflitto, costretti a fuggire dalla proprie case, dai quartieri e dai villaggi. Secondo statistiche Onu vi sono sette milioni di sfollati interni e circa cinque milioni nei Paesi vicini”. Questo esodo ha determinato una nuova emergenza, in particolare nel Libano che è “un Paese piccolo, con una popolazione limitata e un numero sproporzionato di rifugiati” osserva il diplomatico vaticano. “Anche questo un tema grave e urgente - prosegue - ma non si sa come risolverlo. L’agenzia Onu per i rifugiati dice che non ci sono ancora le condizioni per un ritorno volontario, dignitoso e in sicurezza, intanto la gente comincia a perdere la speranza: si assiste, dopo le molte vittime, alla morte stessa della speranza, la gente non ha più fiducia nel futuro” tanto che, dalle ultime stime, si calcola che “circa 500 persone al giorno tentino di lasciare la Siria con ogni mezzo, in genere giovani e qualificate”.

I cristiani siriani

Come e più della gran parte dei siriani, perché rappresentano una piccola minoranza, anche i cristiani soffrono le conseguenze del conflitto e della povertà ormai diffusa nel Paese e che ha colpito diversi strati della popolazione. Una comunità che ha pagato in termini di vite umane, esodo, sparizioni forzate - fra le oltre 100mila persone scomparse nel nulla vi sono il gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio e i due vescovi, siro-ortodosso e greco-ortodosso, di Aleppo solo per fare alcuni nomi - e di fuga volontaria oltre-frontiera. Questa è “un’altra grossa ferita che sanguina nel cuore della Siria”. Ecco perché, per i cristiani, è un “soffio di speranza” l’annuncio di papa Francesco che saranno proclamati santi i martiri di Damasco, francescani e tre maroniti: la loro testimonianza, afferma il porporato, è “attuale” nel modo in cui essi ricordano e rappresentano “quanti hanno sofferto in vari modi in questo conflitto e per la fede”.

La Siria è “molto importante anche dal punto di vista del cristianesimo”, perché oltre ad aver dato il nome dei cristiani ad Antiochia, oggi territorio turco, è la terra cui è legato san Paolo e delle apparizioni di Cristo risorto. E ancora, nei primi sette secoli ha dato sei papi alla Chiesa e quattro imperatori, a conferma della sua importanza “sia dal punto di vista cristiano che sotto il profilo culturale e politico” sottolinea il card. Zenari. Vi è infine l’aspetto legato al turismo “che era in aumento” prima del conflitto, grazie anche a “reperti archeologici che risalgono a 4 o 5mila anni fa” e che permetteva di sostenere anche la comunità cristiana, mentre oggi “è una tragedia vederli partire”. Del resto, ricorda, “nei conflitti i gruppi minoritari sono sempre l’anello debole della catena” e questo è un danno ulteriore laddove essi rappresentano “una finestra aperta sul mondo”. “Basti pensare - conclude - al loro contributo nel campo culturale, dell’educazione con le scuole, nella sanità con gli ospedali, e anche nel campo politico. Anche questa è una ferita molto profonda per le Chiese, che hanno visto partire più della metà dei loro fedeli, e per la stessa società siriana”.

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