Le attese del gesuita, volto notissimo della Chiesa indonesiana, sui discorsi che Francesco pronuncerà domani a Giacarta davanti alle autorità e alla comunità cattolica locale. "L'amicizia tra le religioni e l'attenzione per l'ambiente i temi più importanti oggi". Le differenze con il viaggio di Giovanni Paolo II nel 1989, quando al potere c'era ancora Suharto: "Il problema di oggi sono le oligarchie. Ma ho fiducia nel futuro".
Giacarta (AsiaNews) - “Aspettiamo da papa Francesco un’iniezione di forza e di fiducia. Penso che nei suoi discorsi sottolineerà soprattutto due dimensioni: il tema dell’amicizia tra le religioni e l’attenzione per l’ambiente, che qui è un tema fondamentale”.
Il gesuita p. Franz Magnis-Suseno, 88 anni, è una delle voci più autorevoli nella Chiesa e nella società civile a Giacarta. Originario della Baviera, cittadino indonesiano dal 1977, da decenni è l’anima della Driyarkara School of Philosophy, con le sue riflessioni sull’etica pubblica e l’impegno nel dialogo tra cristiani e musulmani. Ad AsiaNews racconta il clima che si respira a Giacarta in queste ore di attesa del primo discorso ufficiale che Francesco pronuncerà domani al palazzo presidenziale - davanti alle autorità del Paese, al corpo diplomatico e ai rappresentanti della società civile - e nella cattedrale, durante l’incontro del pomeriggio con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e gli operatori pastorali.
“Per i cattolici - racconta – questa visita è certamente un grande aiuto: ci rende consapevoli che siamo nel cuore del Papa. Ma in questi giorni ho avuto modo di vedere quanto sia atteso anche da molti gruppi musulmani. La Nadhlatul Ulama e i giovani della Muhammadiyah sono tutti entusiasti per il suo arrivo".
Si parla molto in queste ore del “tunnel dell’amicizia” lungo una trentina di metri che congiunge la cattedrale e la Grande moschea Istiqlal e che il pontefice percorrerà la mattina del 5 settembre. Un simbolo di oggi che p. Magnis-Suseno invita a cogliere dentro alla storia delle relazioni tra cristiani e musulmani in questo Paese. A partire dalla comune «fede nell’unico Dio» e dall’impegno concreto per l’unità nella diversità che caratterizzano la dottrina nazionale della Pancasila (“i cinque principi”) che Sukarno, il padre fondatore dell’Indonesia indipendente, volle come base della coesistenza.
"Grazie alla dottrina della Pancasila fin dagli inizi la grande maggioranza dei musulmani non insistette per fare diventare l’Indonesia uno Stato islamico – ricorda l'anziano gesuita -. Questo ha garantito anche un costante miglioramento nelle relazioni tra i cristiani, che tra cattolici ed evangelici sono complessivamente circa il 9 per cento della popolazione, e i musulmani. Certo, va fatta comunque qualche distinzione: anche in Indonesia esiste il radicalismo islamico, che in forme e gradazioni diverse coinvolge circa il 20% della comunità musulmana. Però il mainstream, il gruppo maggioritario, ha questo atteggiamento positivo, ha fiducia nelle relazioni. E gli stessi estremisti - più che a noi non-musulmani - guardano a realtà come la Nadhlatul Ulama o la Muhammadiyah come ai propri nemici da ‘convertire’”.
Domani mattina papa Francesco parlerà alle autorità di un Paese in una delicata transizione politica. Quando Giovanni Paolo II venne in visita nel 1989 al potere c’era ancora il regime autoritario di Suharto. Domani ad accogliere Francesco ci sarà un’Indonesia dove lo stesso presidente uscente Joko Widodo - che ha guidato il Paese per due mandati - è stato duramente contestato per l’accordo con l’ex rivale (il ministro della Difesa Prabowo Subianto che gli succederà tra qualche settimana) e il figlio Gibran piazzato alla vice-presidenza forzando la Costituzione.
“Oggi politicamente la situazione è completamente diversa da quella del 1989 - osserva p. Magnis-Suseno -. C’è stata quella che qui chiamiamo la Reformasi che portò nel 1998 alla fine della stagione di Suharto. Oggi i diritti umani e il metodo democratico sono affermati nella Costituzione. Sì, oggi stiamo vivendo nuovamente una situazione problematica, le istituzioni indonesiane stanno mostrando segni di debolezza. Ma per problematiche completamente diverse: il pericolo di oggi si chiama oligarchia. I partiti politici non rappresentano la gente, i governanti rischiano di essere al servizio solo di interessi finanziari”.
“Non sono però problemi legati alla religione - sottolinea p. Magnis-Suseno -. Sul futuro della convivenza in questo Paese io resto ottimista. Quando Suharto salì al potere, alcuni cristiani, soprattutto cattolici, capirono che era bene scommettere sui musulmani, che occorreva far crescere la fiducia nelle relazioni. E lo stesso hanno fatto anche tante personalità e amici della comunità islamica, come per esempio Abdurrahman Wahid, che divenne poi il quarto presidente del Paese. Insieme siamo riusciti a creare pace e progresso, apertura alla democrazia. L’importante oggi, anche per noi cristiani, è continuare ad aprirci: non chiuderci nei nostri circoli”.