Papa alla Chiesa indonesiana: 'Missionari mano nella mano'

L'incontro i vescovi, il clero e gli operatori pastorali nella cattedrale di Giacarta: "“Annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri". Chiamando a sé una catechista ha detto: "Sono loro a portare avanti la Chiesa". "Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse, ma la carità che si dona”.


Giacarta (Indonesia) – “La Chiesa la portano avanti i catechisti. Sono loro che vanno avanti. Poi vengono le suore - subito dopo i catechisti -; poi vengono i preti, il vescovo… Ma i catechisti sono ‘al fronte’, sono la forza della Chiesa”. Prima di cominciare il suo discorso ai vescovi, ai sacerdoti e agli operatori pastorali della Chiesa dell’Indonesia, questo pomeriggio nella cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione a Giacarta papa Francesco ha voluto chiamare accanto a sé Agnes, una catechista che gli aveva rivolto uno degli indirizzi di saluto.

Il ponterfice ha voluto sottolineare in una maniera particolare l’importanza di queste figure e di tutto il popolo di Dio, rivolgendosi ai rappresentanti delle 37 diocesi del Paese nell’incontro dedicato al cammino della Chiesa in questo immenso Paese. “Ci sono cardinali, ci sono vescovi, ci sono preti, ci sono suore, ci sono le laiche, i laici, ci sono i bambini - ha commentato Francesco - ma tutti siamo fratelli. Non è più importate il Papa, il cardinale, il vescovo… Tutti fratelli. Ognuno ha il suo compito per far crescere il popolo di Dio. Capito?”.
Fede, fraternità, compassione” - le tre parole scelte come motto di questa visita apostolica in Indonesia - sono state al centro dell’intervento del Papa, che ha parlato aggiungendo tante frasi a braccio al testo preparato. Accanto a lui il card. Ignazio Suharyo, l’arcivescovo di Giacarta, mentre il presidente della Conferenza episcopale, il vescovo di Bandung, mons. Antonio Subianto Bunjamin gli ha rivolto un saluto iniziale ringraziandolo anche per la nuova diocesi di Labuan Bajo, da poco istituita.

Della fede parla la stessa terra indonesiana. “È un grande Paese - ha commentato - con enormi ricchezze naturali, a livello di flora, di fauna, di risorse energetiche e di materie prime, e così via. Una ricchezza così grande potrebbe facilmente trasformarsi, letta con superficialità, in motivo di orgoglio e di presunzione, ma, se considerata con mente e cuore aperti, può essere invece un richiamo a Dio, alla sua presenza nel cosmo, nella sua vita e nella nostra vita, come ci insegna la Sacra Scrittura. È il Signore, infatti, che dona tutto questo”.

Quanto alla fraternità è uno stile a cui la Chiesa è chiamata prima di tutto nell’evangelizzazione: “Annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri – ha spiegato Francesco - non vuol dire fare proselitismo, vuol dire donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo, sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque”. Citando un’espressione di p. Maxi - un prete che ha parlato a nome di tutti i sacerdoti diocesani dell’Indonesia l'ha definita una missione che si fa strada “mano nella mano”, profezia di “comunione, in un mondo dove sembra invece stia crescendo sempre più la tendenza a dividersi, imporsi e provocarsi a vicenda. E sapete chi è la persona che nel mondo fa le più grandi divisioni? – ha chiesto -. È il diavolo. State attenti!”.

Infine la compassione. C’è gente che ha paura di questa parola - ha ricordato Francesco - “la considera una debolezza ed esalta invece, come se fosse una virtù, la scaltrezza di chi fa i propri interessi, mantenendosi a distanza da tutti. Ma ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse, è la carità che si dona”. Compassione "vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura. E questo non vuol dire essere 'comunista': vuol dire carità".

“Vi incoraggio a continuare la vostra missione forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione”, ha concluso Francesco, raccomandando di accogliere sempre tutti nelle proprie comunità. “Mi colpisce tanto quella parabola del Vangelo – ha aggiunto ancora - quando gli invitati a nozze non sono voluti venire e non sono venuti. Che cosa fa il Signore? Si amareggia? No, manda i suoi servi: ‘Andate agli incroci delle strade e portate tutti, tutti, tutti dentro’. Penso anche a tante isole… E il Signore dice alla gente buona, a voi: ‘Tutti, tutti’. ‘Ma, Signore, quello…’. ‘Tutti, tutti, buoni e cattivi… Vi benedico, vi ringrazio per il tanto bene che fate ogni giorno in tutte queste belle isole. Prego per voi. Ma, per favore, vi chiedo di pregare per me”.

 

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