Pakistan, ogni anno almeno 600 conversioni forzate all'Islam
di Qaiser Felix

Convegno organizzato dalla Commissione per i diritti delle minoranze pakistane. Accuse alla magistratura, troppo dipendente dall'ambiente islamico. Vescovo cattolico: Vi è anche un'influenza della mentalità feudale e dell'economia.


Lahore (AsiaNews) – L'Islam che condanna con la morte la conversione a un'altra religione, obbliga nello stesso tempo le donne sposate a un musulmano di divenire anch'esse musulmane. In Pakistan  ogni anno si attuano  fra le 500 e le 600 conversioni forzate anche se "i media nazionali riportano solo un centinaio di questi casi", che la polizia e la magistratura "trattano sempre con poca giustizia a causa di pregiudizi radicati". Sono questi i dati più importanti emersi dal convegno "La conversione forzata delle donne ed i diritti delle minoranze in Pakistan", che si è tenuto il 26 maggio in un albergo di Lahore.

Al convegno, organizzato dalla Commissione per i diritti delle minoranze pakistane (Mrc), hanno partecipato oltre 50 fra attivisti per i diritti umani, avvocati e rappresentanti delle minoranze religiose provenienti da quattro province del Paese.

Khaliq Shah – membro della Mrc – ha spiegato gli obiettivi dell'incontro: sottolineare a livello nazionale l'importanza della questione, lanciare una campagna contro le conversioni forzate, analizzarne le cause sociali e discutere degli aspetti legali. Shah, che in passato ha condotto due lunghi studi in materia, ha ricordato che il fenomeno "è particolarmente presente nelle classi sociali più povere ed emarginate".

I. A. Rehman, membro della Commissione per i diritti umani del Pakistan, ha aggiunto che – secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo – ogni singolo individuo può abbracciare e praticare in piena libertà ogni tipo di religione e che nessuno può costringere con la forza un'altra persona a cambiare credo. "In quest'ottica – ha spiegato – convertire non è un problema: il problema risiede nell'uso della forza: la conversione forzata deve essere bandita e la questione deve essere discussa".

"In Pakistan – ha poi sottolineato – non abbiamo alcuna legge contro le conversioni forzate, e la conversione di un cittadino dall'Islam a qualunque altra religione significa, per lui, la morte". "Per sconfiggere questo stato di cose – ha concluso - dobbiamo guardare la questione come se fosse una battaglia per la democrazia ed invitare a questi incontri anche dei musulmani, che possono aiutarci a comprendere tutti i punti di vista sull'argomento".

Al convegno era presente anche mons. Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad: "Questo è un problema delicato ed ognuno di noi deve contribuire a risolverlo". "Alla base del problema – ha spiegato il presule – vi sono fattori come il feudalesimo e la struttura socio-economica del Paese. Se parliamo di conversioni forzate, dobbiamo parlare anche di questi aspetti".

Per Kalyan Singh, di religione sikh, uno degli scogli più ardui da superare è la "sudditanza della magistratura rispetto ai leader islamici. I giudici non riescono ad essere neutrali, perché temono la vendetta degli estremisti islamici".

Joseph Francis, del Centro aiuto legale, assistenza ed impiego, ha ripreso l'argomento. "La nostra organizzazione – ha spiegato – ha monitorato centinaia di cause legali collegate a questo fenomeno. Neanche i giudici delle Alte Corti riescono a trattarli con obiettività". "Ai genitori – ha concluso – non viene dato il permesso di parlare con i figli ed un gran numero di ragazze convertite con la forza vengono costrette a fare le prostitute".

In conclusione, i partecipanti hanno "condannato con forza ed in maniera unanime il fenomeno delle conversioni forzate" ed hanno chiesto al governo di "abolire le leggi a carattere personale e punire coloro che indulgono in queste pratiche".