Islam e occidente di fronte a diritti umani e democrazia
di Bernardo Cervellera

L'Europa deve liberarsi da una concezione laicista e falsamente neutra nei confronti delle fedi religiose; l'Islam deve liberarsi dal fondamentalismo che blocca lo sviluppo e spinge alla guerra religiosa. Il mondo arabo è "in stato di confusione". Un reportage sul convegno del Comitato scientifico della rivista Oasis in Egitto.


Il Cairo (AsiaNews) – Portare cristiani e musulmani a comprendere e sostenere i diritti umani su ogni punto della terra: è questo il progetto ambizioso che ha spinto la rivista Oasis ad organizzare un incontro del suo Comitato scientifico al Cairo nei giorni 19-21 giugno, dal titolo "Diritti fondamentali e democrazie". Fra i risultati vi è la promessa di una maggiore collaborazione con l'università di Al-Ahzar, il più antico centro di cultura del mondo islamico. Dalla sua fondazione nel 2004, la rivista Oasis (www.cisro.org) si offre come luogo di dialogo fra cristiani  e musulmani, con le sue preziose edizioni semestrali plurilingue. L'incontro, voluto e presieduto dal Patriarca di Venezia card. Angelo Scola, ha visto presenti il card. Peter Turckson, arcivescovo di Cape Coast (Ghana), mons. Franco Follo, Osservatore vaticano per l'Unesco a Parigi, oltre a patriarchi, vescovi e personalità della chiesa in Egitto, Tunisia, Algeria, Siria, Pakistan, India. Insieme a loro, alcune decine di professori di prestigiose università italiane, francesi, tedesche, spagnole, egiziane, indonesiane. Presenti anche professori musulmani dell'università di Al-Ahzar e membri del World Jewish Congress.

Sullo sfondo del convegno si possono intuire i risvolti e le tensioni che diritti umani e democrazia stanno provocando nei rapporti fra occidente e mondo islamico: l'operazione militare internazionale in Iraq per la diffusione della democrazia; le critiche del mondo islamico alla libertà di espressione in Europa (v. affare delle vignette satiriche su Maometto; la proibizione del velo in Francia; l'esibizione del crocifisso in ambienti pubblici; ecc.); la mancanza di diritti fondamentali per le Chiese nel mondo musulmano; leggi islamiche contro gli apostati, ecc…

Il meticciato di civiltà

Di fronte a questi problemi, il Patriarca Scola ha sconsigliato sia la chiusura reciproca ad oltranza, sia la propaganda di un'integrazione "generica e benevola" che "non può essere considerata innocente". A partire da un concetto da lui elaborato di "meticciato di civiltà" (definita come "produzione culturale risultante dall'influenza mutua di civilizzazioni in contatto"), il card. Scola ripropone la strada della testimonianza reciproca fra cristiani e musulmani, per affrontare insieme tematiche politiche ("pace, giustizia, libertà…") e del quotidiano ("affetti, lavoro, festa, riposo…").

Nella sua relazione introduttiva, il Patriarca Scola mette in luce la difficoltà più profonda che vive l'occidente: l'enfasi sui diritti dell'individuo affermati ad oltranza (senza i corrispettivi doveri e leggi); la pretesa assolutistica dello stato nei confronti di "corpi intermedi" e di individui. Proprio l'incuria del potere politico verso i "corpi intermedi" (in particolare le comunità di fede), porta lo Stato ad una indifferenza verso le religioni, tanto che lo Stato "laico" si trova ad essere spesso anche "antireligioso". Questo giudizio è ancora più forte se visto dalla parte del mondo islamico, che valuta l'occidente, la modernità – e anche la democrazia - come frutto dell'ateismo e quindi da rigettare. La proposta del card. Scola è quella di una "nuova laicità", che valorizzi i corpi intermedi (le religioni) nella società , trasformando lo Stato da "vuoto contenitore" a "spazio, certamente non confessionale", ma aperto alle tradizioni religiose, evitando gli opposti di un "individualismo estremo" e di un' "oppressione del collettivo".

Paesi islamici e democrazia

Quasi in parallelo, anche da parte musulmana vi è stata una critica agli Stati e un sostegno alle religioni come fonte di diritti umani e democrazia. Lo ha fatto Muhammad Nour Farhat, professore di filosofia del diritto all'Università di Zagazig (Egitto) e già consigliere Onu per i diritti umani. Egli ha bollato come razzista l'assunto che l'oriente (e l'Islam) siano culturalmente destinati al dispotismo: "Il patrimonio culturale e religioso del mondo arabo e islamico – ha detto - è ricco di idee e testi che invitano alla tolleranza, all'accettazione dell'altro e all'adozione della consultazione (shura)". Malgrado ciò, vi sono nel mondo islamico "fanatismo, dispotismo, oppressione culturale, politica e confessionale". Tutto questo è dovuto a tentativi di gruppi "religiosi" e "ideologici" che in nome della fede, del nazionalismo, o del materialismo rifiutano la democrazia e i diritti dell'uomo o li relativizzano. Il prof. Fahrat non ha citato alcun paese in particolare, ma era possibile intuire che stesse parlando dell'Arabia Saudita (democrazia contraria ai valori religiosi); della Siria (nazionalismo più importante della democrazia); della Cina (sviluppo economico sì, ma diritti umani no) e forse dello stesso Egitto che, pur avendo scelto per il pluralismo e i diritti umani, non ne trae le conseguenze a livello legislativo e sociale.

A questo proposito egli ha citato una recente inchiesta svolta in Egitto, che misura il riferimento ai diritti umani nelle materie di insegnamento. La percentuale è scarsissima: nei corsi di lingua araba i diritti umani sono citati nel 38% dei paragrafi dei libri di testo; nella lingua inglese nel 18,3%; nell'insegnamento religioso nel 14,2% e nelle materie sociali nel 39,2%. Lo studio mostra anche che diversi testi tralasciano del tutto ogni riferimento al pluralismo, alla libertà di religione, alla convivenza. Per un'attuazione dei diritti umani e della democrazia, il prof. Fahrat crede necessari una riformulazione "del sistema di insegnamento e dei mass media", oltre che un "rinnovamento del pensiero religioso", troppo spesso chiuso o immobile. Egli ha detto di sperare molto dall'influenza delle élite intellettuali dei paesi arabi e da un nuovo programma educativo che metta i diritti umani fra le prime materie da insegnare.

Mondo arabo in "stato di confusione"

La speranza che i media e l'educazione rafforzino l'idea e l'esperienza dei diritti umani è stata espressa anche da mons. Youhanna Golta, vescovo ausiliare copto-cattolico del Cairo. Ma soprattutto, secondo il prelato è necessario comprendere che il tema dei diritti umani e della democrazia "non contrasta con le religioni". Da questo punto di vista, Giovanni Paolo II, valorizzando una concezione laica, ma rispettosa delle fedi, nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1999, ha detto che i diritti umani uniscono "credenti di tutte le religioni e non credenti". Invece per il mondo arabo, la parola "laico" – su cui si basa la dichiarazione Onu per i diritti umani - significa "ateo" e per questo è da rigettare.  Questa posizione di chiusura è ancora più accresciuta dalla diffusione del fondamentalismo e dal "ricorso alla violenza" , che sottomettono l'uomo all'arbitrio "del potere sotto ogni forma e, soprattutto delle istituzioni religiose con potere politico". Ciò apre il campo alla "guerra religiosa", alla denigrazione delle altre religioni e alla eliminazione dell'idea di "uguaglianza e concittadinanza tra i figli di una stessa nazione".

Secondo mons. Golta il Medio oriente – pur con qualche differenza – vive ancora nei "secoli bui"  "dell'analfabetismo scientifico e religioso", dove le tradizioni "controllano ancora il comportamento individuale e collettivo", mentre il fondamentalismo religioso, affermando la "verità assoluta" della religione, brucia ogni verità della scienza, della storia e della geografia, vanificando "l'opera della ragione, l'energia dell'innovare". Mons. Golta ha sottolineato che "la ragione araba" si trova in "uno stato di confusione": da una parte è attratta dalla modernità e dalla civiltà globalizzata; dall'altra essa è sommersa dal passato che la rende immobile. "Il cittadino arabo - ha continuato il prelato - si sente straniero a casa sua e nella sua patria": nelle società arabe "cresce il clima di paura e omertà di fronte alle oggettive ingiustizie e tirannie", mentre "il discorso religioso.. non sa uscire [da un sentimento di] … assedio dell'uomo e dall'aizzarlo contro l'altro, suscitando un sentimento di ingiustizie subite, il cui frutto è la violenza".

Per superare questa posizione di stallo e di sofferenza, occorre affermare che i diritti umani sono "espressione della cultura moderna e contemporanea che risponde al bisogno dell'uomo in un mondo intrecciato e mescolato"; nello stesso tempo occorre affermare che "i diritti umani non contrastano con le religioni, che anzi ne sono sorgente fondamentale". Un importante strumento per l'evoluzione delle mentalità sono la fondazione di "centri di difesa per i diritti umani" e programmi educativi che diffondano la cultura dei diritti umani.

L'incontro con l'università di Al-Ahzar

Un esempio dello stallo e della chiusura religiosa e ideologica in cui i diritti umani versano in Medio oriente è stato dato dalla polemica insorta fra due degli invitati, il musulmano Sayf al-Din, ordinario di Scienze politiche all'università del Cairo, e il rabbino Israel Singer, presidente del World Jewish Congress. Il primo, parlando dei diritti umani nel Corano, ha poi deviato in una filippica contro Israele e gli Usa - causa della disperazione dei palestinesi, delle violenze di Guantanamo, dell'occupazione in Iraq – tacendo su tutte le questioni del terrorismo. Il secondo, tralasciando la sua relazione, ha preferito rispondere al prof. Sayf, difendendo la politica israeliana e la democrazia israeliana.

Un esempio in positivo è stato invece l'incontro del Comitato scientifico con Ahmad Al-Tayyeb, rettore dell'università Al-Ahzar e con altri professori dell'università più antica (fondata nel 998) e più illustre del mondo musulmano. Dopo aver accolto e salutato il gruppo, guidato dal Patriarca Scola, Al-Tayyeb ha parlato di "rapporto organico" fra cristianesimo e islam e in genere tra religioni monoteiste, spiegando i fondamenti coranici del rispetto, dell'accoglienza, della collaborazione fra musulmani e cristiani. Pur sottolineando la visione secondo cui l'Islam è il compimento di tutte le religioni precedenti, il rettore di Al-Ahzar ha esaltato il rapporto e "l'accoglienza delle differenze".

Al-Tayyeb ha sottolineato che questa visione di tolleranza, tipica dell'islam moderato, è quella che l'università cerca di diffondere nei suoi corsi (oltre 60 facoltà) e fra i suoi studenti (più di 100 mila, da 102 paesi). Ma non ha nascosto difficoltà e ostacoli posti dall'integralismo islamico ("le eresie che sfruttano i poveri e li gettano nelle piazze, sui fucili, nelle lacrime e nel sangue"). Per "alleggerire il dolore dell'uomo contemporaneo" e "salvare la civiltà", egli si è detto disponibile ad accrescere i rapporti con altri istituti universitari, con il Centro Oasis  e il Patriarcato di Venezia in particolare.

Reciprocità e libertà religiosa

Nell'ultima parte del grande convegno, sono state analizzate alcune piste per il lavoro futuro. Fra i molti interventi, vale la pena ricordare qui quello del prof. Cesare Mirabelli, dell'università di Tor Vergata (Roma). Mirabelli, che è presidente emerito della Corte Costituzionale italiana, ha sottolineato che "i diritti fondamentali", criticati da vari interventi per il loro "laicismo", sono comunque "un limite al potere assoluto" e al "totalitarismo della maggioranza". Riferendosi poi a un tema scottante nel rapporto fra cristiani e musulmani, quello della "reciprocità", egli ha spiegato che i paesi occidentali (che offrono libertà religiosa e di espressione ai musulmani) non possono usare la reciprocità come un'arma verso i paesi islamici irrispettosi di questi diritti, privando i musulmani in occidente di diritti fondamentali. Occorre però parlare – egli ha specificato – di "diffusione" dei diritti umani anche nei paesi islamici.

E proprio su questa "diffusione", due interventi hanno fatto emergere la difficile situazione vissuta dai cristiani nel mondo islamico, chiedendo un maggiore impegno per la libertà religiosa. Questo tema, che, come quello dei diritti umani, è molto caro a Benedetto XVI, avrebbe forse avuto bisogno di maggiore spazio.

Mons. Paul Hinder, vicario apostolico d'Arabia, ha ricordato la mancanza di libertà di culto per le altre religioni in Arabia saudita, mentre mons. Joaquin Allende, assistente ecclesiastico internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha ricordato il pericolo di vita che corrono coloro che si convertono dall'islam al cristianesimo.