L'Esercito cinese si arma per vincere piccoli conflitti di confine

Il Pentagono ha spiegato davanti ai deputati statunitensi il ritmo di crescita e le finalità dell'Esercito di liberazione popolare, che cresce di anno in anno per dare prova di forza nei piccoli contrasti territoriali. Allarme per Taiwan, considerato il primo bersaglio.  


Washington (AsiaNews/Agenzie) – L'ambizioso progetto di ricostruzione dell'Esercito di liberazione popolare cinese viene portato avanti da Pechino per dare ai suoi soldati la possibilità di combattere e vincere conflitti brevi ed intensi lungo il confine della nazione. Lo ha dichiarato ieri Peter Rodman, alto ufficiale del Pentagono, che - sull'ipotesi di una guerra contro Taiwan - ha però sottolineato come "nonostante la rapida espansione militare cinese, un conflitto fra le due nazioni non è previsto".

Rodman, assistente del Segretario alla difesa con delega alle politiche di sicurezza internazionali, ha aggiunto durante un'audizione davanti alla Commissione servizi armati della Camera dei rappresentanti che il Pentagono "non sta cercando di provare o meno l'esistenza di una 'minaccia cinese'. L'obiettivo "è solo quello di far parlare i fatti da soli".

I rappresentanti statunitensi vogliono che la Cina spieghi il proprio stanziamento economico per l'Esercito, che è cresciuto dal 1994 al 2004 con un tasso medio annuale pari al 16 %. Secondo quanto dichiarato dal ministero dell'Economia, il governo cinese ha stanziato per le spese militari del 2006 35 miliardi di dollari, ma il Pentagono stima il reale investimento intorno ai 105 miliardi. Se confermate, queste cifre farebbero della Cina il Paese con le più alte spese militari dell'intero continente asiatico.

I deputati Usa si sono detti "particolarmente preoccupati" dalla possibilità che Pechino stia portando avanti questa massiccia campagna militare per "convincere, anche con la forza" Taiwan ad allontanarsi dall'idea di indipendenza. A tale proposito, Washington ha dichiarato di essere pronta a fornire all'isola i mezzi per difendersi da sola, ma ha aggiunto che in caso di invasione potrebbe entrare nel conflitto.

Per Rodman, l'incremento delle spese militari sta sbilanciando l'equilibrio sullo Stretto: al momento, i missili puntati contro Taiwan – che la Cina considera una provincia ribelle da riannettere al più presto – sono circa 800, ma il numero aumenta di 100 unità all'anno.

La rinnovata militarizzazione della Cina è stata notata anche dal Giappone: Taro Aso, ministro nipponico degli Esteri, ha definito la società cinese "con i militari prima di tutto", ma ha aggiunto di ritenere "improbabile" un mantenimento di questo tasso di crescita militare. "Non vi è alcun esempio nella storia mondiale – ha detto – in cui una nazione gigante sia riuscita a sopravvivere mantenendo anche delle Forze armate giganti".