Cina: lo sviluppo delle città ha creato un nuovo sottoproletariato

Le nuove opere, spesso sorte senza criterio né controllo,  hanno arricchito i governi locali ma impoverito i contadini, spinti a migrare nelle città. Decine di milioni di famiglie vivono prive di terra e di stabilità sociale ed economica.


Pechino (AsiaNews/Scmp) – La rapida e incoerente crescita urbana della Cina ha sacrificato gli interessi della campagna per favorire progetti grandiosi, ma talvolta poco utili.

La responsabilità – dice Lu Dadao, esperto dell'Accademia cinese delle scienze – è anzitutto dei governi locali, con frequenza fautori di uno sviluppo urbano incontrollato.

"In 20 anni – ricorda Lu – la Cina ha portato la percentuale delle costruzioni urbane dal 20 al 40 % [del totale, dato del 2003]. Identico cambiamento in Gran Bretagna è avvenuto in 120 anni e negli Stati Uniti in 80 anni".

Nonostante il basso reddito pro capite, da almeno 20 anni prosegue un selvaggio sviluppo urbanistico: sono costruiti lussuosi uffici pubblici, piazze importanti in quartieri poveri, centri di congressi che non saranno utilizzati, grandi università e zone industriali. Molte di queste opere – prosegue Lu – sono state realizzate in aree povere dove hanno scarsa utilità, ma hanno aumentato l'inquinamento. I governi locali – dice – non consentono ai contadini di intervenire nelle decisioni sull'utilizzo del territorio, ma ottengono laute entrate dalla cessione delle terre [a costruttori e industriali]. Le autorità locali hanno espropriato intere zone agricole per cedere la terra a basso prezzo a costruttori di palazzi e a industriali. Spesso i contadini nemmeno hanno ricevuto l'indennizzo. Gran parte delle oltre 87mila proteste di piazza del 2005 sono state causate proprio per espropri forzati e contrasti dei contadini con industriali e governi locali. I dati ufficiali mostrano che dal 1996 al 2003 in Cina la terra agricola è diminuita di 6,67 milioni di ettari. Il Governo centrale risponde che l'11mo piano quinquennale indica che l'urbanizzazione debba procedere "in modo graduale e  ordinato" "ma alcuni governi locali – obietta Lu – semplicemente lo ignorano".

Questo sviluppo è stato trainato anche dalla migrazione di decine di milioni di contadini nelle città. Uno spostamento sempre applaudito dagli economisti governativi quale modo per combattere la povertà e favorire la crescita urbana. Nei fatti, è stato creato un nuovo sottoproletariato di lavoratori migranti.

"Dietro un'urbanizzazione giunta al 43% [dato del 2005] – spiega Lu – ci sono oltre 100 milioni di lavoratori migranti nelle città. Ma la loro vita è molto differente da quella dei residenti urbani".

I migranti lavorano anche 12 ore al giorno per 7 giorni settimanali per paghe minime, stanno per tutto l'anno lontani dalle famiglie e vivono ammassati o, addirittura, dormono sul luogo del lavoro. Le famiglie urbane non residenti non hanno diritto alla scuola gratuita o ad altri servizi sociali.

Altri esperti osservano come l'urbanizzazione cinese sia tuttora inferiore a Paesi vicini come Giappone e Corea del Sud, che l'intera Asia meridionale e orientale è in rapido sviluppo e che lo sviluppo urbano di India, Tailandia e Indonesia non sia meno rapido.

Ma in Cina si è così creato – conclude Lu – un sistema sociale con grave rischio di povertà e di instabilità anche futura. L'avere tolto la terra ai contadini "non crea particolari problemi – prosegue Lu – finché l'economia è in crescita. Ma se ci fosse una recessione, ci sarebbero gravi problemi sociali". Decine di milioni di famiglie si troverebbero senza lavoro e senza terra da coltivare.

Il nuovo problema sociale – dicono altri esperti – può essere risolto solo con riforme strutturali che aumentino i servizi pubblici sia a favore della popolazione agricola che per i cittadini non residenti. (PB)