Un esercito di disoccupati dietro la crescita economica cinese

Lo sviluppo economico ha favorito le grandi imprese e settori come l'immobiliare e l'energetico, ma non ha fatto diminuire la disoccupazione. Milioni di piccoli imprenditori e commercianti falliscono, strangolati da un iniquo sistema fiscale e dai crescenti affitti urbani.


Pechino (AsiaNews/Scmp) – Il boom economico cinese non ha fatto diminuire la disoccupazione. Anzi nelle città diminuiscono i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi, una volta cardine del sistema economico ma che non riescono a sostenere l'aumento dei costi e degli affitti.

Questo mese l'Ufficio nazionale di statistica ha indicato una disoccupazione stabile intorno al 4,2% tra la popolazione urbana. Ma molti esperti ritengono il dato sottostimato, perché non considera i disoccupati che non sono registrati presso uffici pubblici e i lavoratori in eccesso nelle aree rurali. Yao Yang, vice direttore del Centro cinese per la ricerca economica dell'università di Pechino, stima un tasso di disoccupazione tra il 10 e il 15% e ne prevede l'aumento nei prossimi anni, con 15 milioni di nuovo lavoratori ogni anno a partire dal 2020.

Zhou Tianyong, vice direttore dell'ufficio ricerca della Scuola centrale del Partito comunista, parla del 16,36% di disoccupati nelle città. Tutti sono d'accordo che i molti anni di rapida crescita non hanno portato un corrispondente aumento dei posti di lavoro. "Questo è avvenuto in quanto – spiega Zhou – la gran parte della crescita del Prodotto interno lordo è avvenuta in settori come l'immobiliare, l'industria energetica, quella con grandi investimenti come per le infrastrutture". "Ma di ciò beneficiano poco i lavoratori non specializzati e con scarsa istruzione, che sono la massa della popolazione".

Inoltre negli ultimi anni sono falliti molti commercianti al minuto e piccoli imprenditori. Negli '80 il governo ha incoraggiato i giovani disoccupati a intraprendere queste attività, offrendo facilitazioni riassunte nel motto: "nessuna tassa, nessun affitto". Ma questo non è più applicato da anni e i piccoli imprenditori, colpiti da un sistema fiscale iniquo e dall'aumento dei costi, sono scesi da 31,6 milioni nel 1999 a 23,5 milioni nel 2004. Secondo i dati ufficiali, nel 2005 i governi hanno raccolto 936 miliardi di yuan per diritti e multe amministrative, senza considerare le imposte sui redditi. Alcune attività, come i piccoli ristoranti, sono colpite da decine di imposte.

Zhou spiega che le imposte non sono troppo elevate per i grandi imprenditori, ma sono in proporzione eccessive per i piccoli commercianti "che guadagnano sui 1.000 yuan al mese". Ritiene che anche i grandi problemi sociali attuali siano probabile conseguenza del declino dei piccoli imprenditori e teme che l'aumento delle grandi industrie causi "un'elevata disoccupazione e una crescente distanza tra ricchi e poveri". "La sicurezza e il benessere sociale diminuiranno se nelle città ci saranno milioni di disoccupati".

Yao aggiunge che i piccoli imprenditori sono stati anche colpiti da eccessivi interessi passivi applicati dalle banche, spesso nel disinteresse dei governi locali. "Alcuni governi locali – spiega – adorano le imprese di grandi dimensioni e le compagnie di investimento straniere. Ma danno scarso aiuto alle piccole imprese locali". "[Le autorità locali] lavorano duro per rendere le città più grandi, lussuose e di stile occidentale quale proprio monumento politico, ma poi i disoccupati non possono pagare gli affitti" che aumentano. "La prima priorità di un Paese in via di sviluppo – conclude – dovrebbe essere assicurare un [buon] tenore di vita per la popolazione".

Chen Naixing, direttore del Centro di ricerca per le piccole e medie imprese dell'Accademia cinese per le scienze sociali, conferma che il Centro ha spesso avvertito le autorità del pericolo, "ma senza ottenere finora molta attenzione". (PB)