La bomba nordcoreana preoccupa, più che per un suo possibile suo, perché infligge una ferita grave al trattato di non-proliferazione nucleare, unico strumento legale a livello internazionale per prevenire la diffusione dei micidiali armamenti
Tokyo (AsiaNews) Per Kim Jong-il la bomba atomica, più che una vera arma un suo uso militare segnerebbe la fine sua e del suo Paese è un mezzo di ricatto sulla comunità internazionale, per garantirsi la sopravvivenza del regime e aiuti economici. È la conclusione alla quale - pur senza nascondere il timore comunque legato all'arma atomica - giungono analisti giapponesi e americani, mentre si avvicina la ripresa dei "colloqui a sei", prevista per dicembre.
La nuova partita che oppone Pyongyang al resto del mondo è cominciata il 9 ottobre, quando all'interno di una miniera è esploso il primo ordigno nucleare prodotto dalla Corea del nord. Nel Paese, i cittadini sono stati informati solo dopo che il governo degli Stati Uniti ha confermato la natura nucleare dell'esplosione. Da allora Pyongyang si è presentata imbandierata e i mass media interni hanno dato notizia enfaticamente per esaltare l'entrata della nazione nella famiglia delle potenze nucleari. È il nono membro.
Diversamente all'estero, Cina compresa, la notizia ha suscitato costernazione e ansietà. Il 14 ottobre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha approvato all'unanimità una mozione che impone alla Corea del nord gravi sanzioni economiche.
La bomba, oggetto dell'esperimento, è di modesta potenza., "Kim non ha intenzione di attaccare nessuno - osserva il giornalista Gwynne Dyer - specialmente con armi nucleari, perchè non ha alcuna speranza di sopravvivere all'istantanea e schiacciante rappresaglia degli Stati Uniti". Secondo quanto ha detto l'ex-segretario di Stato signora Madaleine Albright, che lo ha incontrato a Pyongyang sei anni fa, il dittatore del Nord non è un folle. Finge di esserlo perchè la sopravvivenza del suo regime dipende dal ricattare nazioni per ottenere generi alimentari e petrolio. La bomba va inserita in questo quadro.
All'annuncio delle sanzioni l'ambasciatore nord-coreano all'ONU ha lasciato l'aula con disdegno e il governo di Pyongyang per due settimane ha tenuto un atteggiamento di dura chiusura agli appelli diplomatici dei governi membri dei "colloqui a sei": Cina, Stati Uniti, Corea del sud, Giappone e Russia.
Ma il 31 ottobre, improvvisamente, dopo un solo giorno di colloqui con il rappresentante degli Stati Uniti e della Cina, a Pechino, il rappresentante di Pyongyang ha accettato di ritornare al tavolo dei colloqui a sei. Il fronte unito e inflessibile, almeno sull'essenziale, degli interlocutori non ha lasciato alternativa allo scaltro ricattatore Kim..
L'insensato esperimento è una minaccia per tutto il mondo perchè infligge una ferita grave al trattato di non-proliferazione nucleare (N.P.T: Nuclear non-Proliferation Treaty) che, fino ad oggi, è l'unico strumento legale a livello internazionale per prevenire la diffusione dei micidiali armamenti: la Corea del nord è la prima e, finora, l'unica nazione che l'ha contraddetto: ratificatolo nel dicembre del 1985, ne è uscita nel gennaio del 2003 per poter procedere nel programma nucleare.
Nel 1963 John F. Kennedy aveva predetto che entro una decina d'anni 20 Stati avrebbero posseduto armi atomiche. Oggi sono una cinquantina gli Stati che le potrebbero realizzare facilmente.
"Kim Jong-il ama la bomba". Così si intitola un'analisi di Bennet Ramberg, già consigliere militare nel Dipartimento di Stato durante l'amministrazione del primo Bush. Il motivo è semplice: la bomba è l'oggetto più prezioso che suo padre, Kim Il-sung, gli ha lasciato in eredità per salvare il regime e, quindi, se stesso. Verso la fine degli anni '80 Kim-padre, prevedendo l'interruzione del sostegno sovietico, ha dato inizio al programma nucleare negli stabilimenti di Yongbyon (97 chilometri a nord della capitale) mettendo a capo del dipartimento ad hoc il figlio ed erede politico. Alla minaccia di bombardamenti da parte del presidente Clinton, accettò trattative per il congelamento del programma. Morto improvvisamente nel 1994 è passato al figlio l'onore di firmare il cosiddetto Agreed Framework, che impegnava allo smantellamento dei reattori al plutonio. Ma a Kim Jong il la bomba interessava molto di più che l'accordo. Come era prevedibile, lo ha denunciato nel 2003.
Secondo fonti cinesi e americane, la ripresa dei "colloqui a sei", interrotta dal settembre dello scorso anno, dovrebbe avvenire verso la metà di dicembre. Le prospettive non sono rosee, data l'inconciliabilità delle premesse dei due principali protagonisti: George Bush e Kim Jong-il. Il primo chiede la stipulazione dell'impegno di dare inizio allo smantellamento nucleare come preliminare condizione per un dialogo a due.. Il secondo, invece, esige l'immediata sospensione delle sanzioni.
Tuttavia, l' aver accettato di ritornare al dialogo è ritenuto da molti una buona notizia. Ora il maggiore problema è se Kim sarà sufficientemente saggio di prendere la decisione strategica di abbandonare ogni armamento atomico in cambio di massicci aiuti economici e della garanzia di sicurezza.. "Da questa decisione - scrive Keizo Nabeshima, analista del The Japan Time - dipende il destino dei colloqui a sei che, attualmente, sono il miglior meccanismo diplomatico per conservare la pace nell'Asia nord-orientale"