Un mullah iraniano chiede l'uccisione di un giornalista dell'Azerbaijan
di Dariush Mirzai

E' accusato di aver insultato Maometto e, siccome ha un nome islamico, deve anche essere considerato un apostata.


Teheran (AsiaNews) - La fatwa (decreto religioso) iraniana che condanna Salman Rushdie, ancora in vigore, non è l'unica manifestazione della pretesa del clero sciita di esercitare poteri "giudiziari" in tutto il mondo. Pochi giorni fa, a Qom in Iran, l'ayatollah Morteza Bani-Fazl ha condannato a morte Rafik Taghi, giornalista in Azerbaijan. Per incoraggiare gli assassini, ha pure offerto in ricompensa una casa ereditata dal suo padre.

Taghi avrebbe insultato il profeta Maometto in un articolo pubblicato dal giornale azero Sanat, che sarebbe sotto l'influsso dei "poteri occidentali". Alla Repubblica d'Azerbaijan, l'ayatollah chiede scuse ai musulmani del mondo intero e misure repressive contro il giornale e l'autore dell'articolo. Lo Stato dell'Azerbaijan forse non reagirà, ma quest'appello produrrà certamente reazioni, difficilmente prevedibili, nella provincia iraniana d'Azerbaijan, già perturbata in maggio 2006 da dimostrazioni in seguito alla pubblicazione di una caricatura razzista contro l'etnia azera.

Assai particolare è la prima delle due motivazioni per la sentenza di morte: la pace e il dialogo interreligioso! Bani-Fazl sottolinea che l'"islam è la religione dell'amicizia e della fraternità" e ritiene che l'articolo incriminato è di natura capace di perturbare la tranquillità e la pace tra Paesi vicini e nel mondo; specialmente, questa pubblicazione potrebbe creare la discordia tra i cristiani e i musulmani.

La seconda ragione è più classica nel diritto islamico, specialmente per i circoli islamisti. L'ayatollah considera che il nome Taghi è islamico e che, essendo stato dato da genitori supposti musulmani, il giornalista azero deve essere considerato come colpevole d'apostasia – perciò, condannato a morte.

Quest'iniziativa individuale di una personalità religiosa importante di Qom non è stata finora ufficialmente approvata, ne criticata, dalle autorità politiche. Però, corrisponde all'estrema suscettibilità del regime iraniano verso qualsiasi critica in qualsiasi posto del mondo contro l'islam e, in particolare, la figura di Maometto. Corrisponde anche alla politica d'intimidazione contro i giornalisti, siano iraniani o stranieri. Si tratta di un messaggio indiretto dell'Iran al vicino del Nord? Probabilmente no, perché il governo iraniano teme la destabilizzazione interna e non vuole irritare inutilmente le minoranze.