Sulla spiaggia dello tsunami, la vita ricomincia da una chiesa
A due anni dal devastante maremoto AsiaNews fa il punto sullo stato della campagna promossa dal PIME nel sud-est asiatico: chiusi tutti i progetti in Thailandia, Myanmar e India del sud. Quets’anno raccolti oltre 300mila euro, ma per concludere i lavori sulle Andamane servono ancora fondi.
Milano (AsiaNews) - Si continua a lottare per ricostruire case e una vita normale sulle isole Andamane e Nicobare a due anni dallo tsunami che il 26 dicembre 2004 ha sconvolto il sud-est asiatico. In questo arcipelago a largo della costa indiana orientale sono ancora aperti alcuni progetti della campagna di aiuti promossa dal Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) e sostenuta anche da AsiaNews.
 
L’azione del PIME per le vittime del maremoto si è mossa da subito: nei giorni successivi al disastro gli aiuti sono stati diretti a interventi di prima necessità in India, Thailandia e Myanmar, quindi con acquisti di barche e attrezzatura da pesca nel Tamil Nadu - India del sud - aiuti a scuole e ostelli nelle isole Andamane e sostegno psicologico ai sopravvissuti in Thailandia.
Andrea Ferrari, amministratore del Centro missionario PIME a Milano, riferisce che tutti i progetti sono chiusi e terminati, tranne quello “più ambizioso e grande”, ancora in corso sulle Andamane e Nicobare. Tornato da una visita di 15 giorni in India per controllare lo stato dei lavori, Andrea Ferrari riferisce che, a due anni dal disastro, la gente purtroppo vive ancora in situazioni limite, in attesa di case permanenti che il governo non consegna. Ma senza perdere la speranza anche grazie alle iniziative condotte dai padri del Pilar, 15 in tutto, che nella zona gestiscono i fondi e i progetti della campagna promossa dall’Istituto.
 
Secondo le stime del Centro missionario la campagna per le vittime dello tsunami ha raccolto quest’anno 320 mila euro per tutti i progetti. “La cifra è naturalmente molto inferiore al 2005 – spiega Ferrari – quando abbiamo raccolto 2.063.992 euro, ma per non abbandonare alcuni lavori a metà servono ancora donazioni”.
 
Scuole e ostelli per i giovani
 
Il progetto “Ricostruire le Isole Andamane e Nicobare” si pone diversi obiettivi, spiega Ferrari. Su un terreno di 12 ettari nella località di Manarghat – a circa 30 chilometri dalla capitale dell’arcipelago, Port Blair – è sorta una struttura scolastica con un convitto per gli studenti: uno maschile, per circa 150 ragazzi, ed uno femminile con la stessa capienza. A pieno regime la scuola, che verrà consegnata il 15 maggio prossimo insieme all’ostello femminile, ospiterà 800 studenti. Al momento è stato terminato il primo piano e manca il secondo.
 
La consegna dell’ostello maschile è  prevista per il 30 settembre 2007; fino ad allora i ragazzi alloggeranno negli spazi inutilizzati della scuola; i bambini più piccoli, dai 4 a 7, anni staranno invece nel convitto femminile, gestito dalle suore Orsoline. La scuola avrà classi elementari e medie.
 
A Port Blair, invece, le donazioni giunte al PIME hanno permesso di ricostruire un’altra scuola, completamente demolita dal terremoto. “L’edificio - racconta l’amministratore PIME - è completato mancano solo le rifiniture interne, ma è già in funzione per almeno 150 studenti, che diventeranno 500 al termine di tutti i lavori. La scuola prevede classi di asilo ed elementari; sarà a pagamento, ma circa un centinaio di posti saranno gratuiti per orfani e ragazzi più disagiati.
Per il progetto delle scuole, compresi edificazione, arredamenti interni, mantenimento di alcuni orfani per i primi anni, lavori extra (strada, ponte), il costo si aggira intorno a 1.250.000 euro. Oltre 900 mila euro sono arrivati tramite il TG 4 (telegiornale nazionale in Italia). “All’inizio prevedevamo di utilizzare solo questa somma, ma poi abbiamo aggiunto anche 250 mila euro presi dalla campagna PIME tsunami vera e propria. Dall’estero sono arrivati diverse offerte, come ad esempio da missioni in Brasile.”
 
“Molto impegnati, però, si sono dimostrati anche i centri missionari diocesani – racconta Ferrari – ad esempio quello di Novara, con cui stiamo pensando di fare adozioni a distanza per le scuole e gli ostelli”. In tutto “ci servono ancora 150 mila euro per assicurare il mantenimento per tre anni agli studenti più bisognosi come avevamo promesso. “Con i soldi attuali - aggiunge - riusciamo a coprire solo il primo anno e mezzo”.
 
Chiese sulla spiaggia
 
Ma sulle isole Andamane, raccontano alcuni padri del Pilar, sono le chiese e le cappelle ricostruite sugli stessi siti originari ad infondere di più la speranza nel ritorno ad una vita normale. Sull’isola di Little Andaman e Car Nicobar i piani prevedevano la ricostruzione di due chiese con annessi centri comunitari e sei cappelle. “A gran richiesta – racconta Ferrari – abbiamo aggiunto al piano originale altre due cappelle, ma anche qui servono ancora fondi”.
 
A Little Andaman, infatti, sono tornate in funzione la chiesa e la residenza dei padri del Pilar, entrambe già inaugurate. Le cappelle finite sono sei, ma due sono ancora in costruzione: una ha già le fondamenta, ma l’altra non è neppure iniziata. Stesso problema per la chiesa di Car Nicobar, la cui completa ricostruzione dipende dall’arrivo di nuove donazioni. Il progetto per le chiese e le cappelle è costato 150 mila euro; per portare a compimento i lavori pendenti servono tra gli 80 e i 90 mila euro. “Finché non troviamo questo denaro – riconosce l’amministratore – tutto rimane bloccato”.
 
Ma dalla riedificazioni degli edifici religiosi - racconta Andrea Ferrari e i padri del Pilar confermano - dipende molta della speranza che la prostrata comunità locale inizia a riacquistare. Un esempio: prima dello tsunami la città di Hut Bay, capitale di Car Nicobar, si sviluppava tutta lungo la spiaggia e a 10 metri dalla spiaggia c’era anche la chiesa. Qui l’onda è arrivata a 14 metri di altezza e ha spazzato via tutto. Ora in questa zona, dove si vedono ancora solo le fondamenta delle case in costruzione, sorge la chiesa che è stata rifatta sulla spiaggia. “La gente è contentissima di vedere la chiesa nuova nel punto esatto dove era prima - spiega p. Joseph, della Società del Pilar - è come il segno di una vita che riprende da dove era stata interrotta. All’inaugurazione la festa è stata grande con tutta la popolazione locale e alle funzioni spesso vengono anche i protestanti”.
 
Andrea Ferrari, invece, racconta che a Little Andaman, nell’ultima cappella visitata, quella più remota, “ho incontrato un ragazzo di 25 anni che mi ha molto colpito: nello tsunami ha che ha perso tutta la famiglia, ma era lì a festeggiare con il sorriso la riapertura della cappella, intenzionato, come mi ha detto lui stesso, a rimanere al villaggio e continuare ad andare avanti”.
 
Difficoltà di una totale ripresa
 
Ferrari spiega che ritardi e l’aumento dei costi sono imputabili a diversi motivi: primo tra tutti la difficoltà di reperire materie prime, a causa della grande richiesta. Su tutte le Andamane al momento si sta costruendo molto, ponti, strade, case; questo non comporta solo un ritardo nei rifornimenti, ma anche un aumento dei costi. “Senza considerare - sottolinea - che alcuni materiali da costruzione, come il ferro, sono già aumentati a livello mondiale a causa della forte domanda del mercato cinese”.
 
Altri problemi sono la manodopera, che arriva dall’India continentale e costa di più di quella locale, ma anche gli imprevisti di carattere tecnico. Ad esempio, il Dipartimento dell’istruzione dopo il tragico crollo di una scuola in Tamil Nadu ha dato nuove disposizioni per la costruzione delle mura e così ci siamo visti costretti ad adeguare i progetti che avevamo già definito. Non ultimo è da considerare il fattore meteorologico: l’anno scorso il monsone è durato due mesi con pesanti alluvioni.
 
Ma nonostante la speranza che non abbandona questa gente, su Little Andaman la situazione è molto tragica. P. Joseph racconta che la popolazione vive ancora in baraccopoli, in attesa delle case permanenti promesse dal governo, ma di cui ancora non si vede neppure l’ombra. “L’impressione - riferisce l’amministratore PIME - è che a due anni dal disastro qui sia tutto come nella fase subito successiva alla prima emergenza”.
 
La ripresa più difficile – secondo p. Joseph – è quella spirituale e psicologica: “La gente è molto grata a chi l’ha aiutata, ma quando arriva uno straniero in visita la prima cosa che raccontano tutti è la loro esperienza di quel fatale 26 dicembre”. “Il ricordo è ancora vivo – conferma Ferrari – e brucia”. “Molti mi hanno detto che dopo essere rimasti tagliati fuori dalle comunicazioni per giorni non si spiegavano cosa potesse essere accaduto: alcuni pensavano all’atomica, alla terza guerra mondiale, altri persino alla possibilità che Gesù fosse arrivato con un giorno di ritardo (il giorno prima era Natale)”. Sebbene fiducioso nella forza d’animo della popolazione, p. Joseph ritiene “quasi impossibile, nella situazione attuale, riuscire a riprendersi: le famiglie, gli orfani mancano ancora di tutto e sembra che il mondo se ne sia dimenticato”.
 
Lo tsunami del 26 dicembre 2004 ha interessato la maggior parte delle coste dell’Oceano Indiano.
Il numero totale di vittime accertate si aggira intorno a 226 mila, ma decine di migliaia di persone sono ancora date per disperse, mentre gli sfollati sarebbero tra i tre ed i cinque milioni. In tutta l’India si stimano 15 mila morti.