Lo sviluppo, “nuovo nome della pace”, è responsabilità di tutti
di Santosh Digal
Lo scrive il presidente dell’episcopato filippino in un messaggio nel quale sottolinea la necessità che governo, Chiese e singole persone sentano il dovere della solidarietà non solo in occasione di eventi disastrosi, ma in tempi normali, Il card. Vidal esorta i sacerdoti a non cedere al materialismo.
Manila (AsiaNews) - La promozione dello sviluppo, “nuovo nome della pace” nel mondo ed anche nelle Filippine, richiede “l’impegno collettivo” ed è “comune responsabilità” del governo, delle Chiese, degli operatori di pace e dell’intera società. E’ partendo da questa affermazione che il presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, mons. Angel Lagdameo, nel messaggio per il nuovo anno, esorta a lavorare per lo sviluppo, sottolineando che esso “significa cibo sulla tavola dei bisognosi, impiego sicuro per milioni di persone nel Paese, medicine a basso costo per le famiglie dei lavoratori, istruzione per i più poveri, abitazioni decenti per i senzatetto ed i barboni”.
 
Riferendosi alla celebrazione della Giornata mondiale della pace, il presidente dell’episcopato filippino ha ricordato che la pace è un impegno morale. “E’ prodotta dalla giustizia, richiede rispetto per la dignità umana, la promozione del bene comune e la costante pratica della solidarietà”, non soltanto, quindi, in occasione di catastrofi naturali, come i recenti tifoni o per lo tsunami, ma in situazioni normali.
 
Se mons. Lagdameo ha chiamato tutti i filippini ad un nuovo atteggiamento morale in nome della solidarietà verso gli ultimi, di realizzazione della pace interiore attraverso un rinnovamento di vita ha parlato il cardinale Ricardo Vidal, che, a Cebu, ha esortato i sacerdoti a non cedere a materialismo e consumismo. “Di quante cose materiali – ha chiesto - abbiamo ancora bisogno prima di dire: ne ho abbastanza?”. Parlando a circa 500 sacerdoti e religiosi, riuniti nel seminario minore di San Carlo, a Ma bolo, il cardinale ha ricordato che sacerdoti e vescovi debbono sentirsi “fedeli amministratori” dei beni loro affidati. Le offerte date a parrocchie, santuari, monasteri e superiori religiosi “si suppone siano fatte alle istituzioni e non alle persone”. “Il mio discorso – ha concluso – è molto lungo, ma tutto ciò che voglio dirvi è ‘per favore, ricordate a voi stessi che siete dei preti’”.