Esproprio delle terre, prima causa di conflitti e scontri sociali
Secondo il vice direttore dell’Ufficio centrale per gli Affari finanziari ed economici, oltre il 50 % di tutte le proteste nella Cina rurale nasce dalla requisizione di terre ai contadini da parte dei dirigenti locali. Esclusa l’ipotesi privatizzazione.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il governo cinese ha ammesso che la requisizione di terre ai contadini da parte delle autorità locali è la prima causa di conflitti nella Cina rurale. Nonostante ciò, per i dirigenti comunisti “è fuori discussione” persino l’ipotesi di privatizzare i terreni agricoli.
 
I dati sono stati confermati ieri da Chen Xiwen, vice direttore dell’Ufficio centrale per gli Affari finanziari ed economici, che nel corso di una conferenza stampa ha ammesso: “Le dispute sul possesso dei terreni sono la causa di oltre il 50 % di tutte le proteste sociali”.
 
Il dirigente ha aggiunto che “il 30 % degli scontri può essere fatto risalire all’appropriazione indebita di fondi pubblici da parte di dirigenti comunisti, mentre il restante va attribuito all’inquinamento ambientale”.
 
Tuttavia, ha precisato, “il numero di proteste sociali è diminuito rispetto agli anni precedenti e la tensione fra contadini e dirigenti si è molto ammorbidita dopo che il governo ha eliminato le tasse sull’agricoltura ed ha ordinato lo stanziamento di sussidi diretti a chi lavora la terra”. In ogni caso, non ha voluto precisare il numero di incidenti avvenuti nel corso del 2006.
 
Liu Jinguo, vice ministro per la Sicurezza sociale, aveva già affrontato l’argomento all’inizio di gennaio, nel corso di una conferenza nazionale sull’ordine pubblico. Per il dirigente, nel 2006 gli scontri sociali sono diminuiti del 16,5 %, rispetto alle oltre 87mila proteste del 2005.
 
Nel corso del discorso, parlando dei problemi relativi alle requisizioni di terre, Liu ha precisato: “Per il momento, e per il prossimo futuro, non si può neanche parlare di privatizzazione delle terre. Questa posizione non nasce da una politica del Partito comunista, ma dalla Costituzione stessa, che non prevede alcun cambiamento nelle politiche dei territori”.