Dopo l’accordo sul nucleare, Washington “apre” a Pyongyang
Il governo americano ha accettato di avviare colloqui diretti con la Corea del Nord, tesi a stabilire piene relazioni diplomatiche ed a cancellare Pyongyang dalla lista degli Stati terroristi. Soddisfazione di Seoul e Pechino, i dubbi di Tokyo.
Pechino (AsiaNews) – Il governo americano ha accettato ieri di avviare colloqui diretti con la Corea del Nord, tesi a stabilire piene relazioni diplomatiche, ed ha annunciato che nei prossimi due mesi avvierà le procedure per cancellare Pyongyang dalla lista degli Stati terroristi e rimuovere le sanzioni commerciali nei confronti del Paese.
 
Dopo i 4 mesi di crisi derivati dall’esperimento atomico condotto in una miniera nordcoreana, dunque, il regime stalinista guidato da Kim Jong-il sembra uscire vincente dai colloqui a 6 sul nucleare. Pyongyang ha ottenuto 60 giorni di tempo per smobilitare il suo principale reattore nucleare – quello di Yongbyon, l’unico in grado di produrre armi atomiche – in cambio di 50mila tonnellate di petrolio come ricompensa immediata.
 
Il regime si è impegnato inoltre a fornire un inventario dettagliato dei quantitativi di plutonio di cui è in possesso, ma per fornire questa lista ha chiesto ed ottenuto una fornitura energetica pari ad un milione di tonnellate di combustibile. Questa dotazione gli consentirà di mantenere attive le industrie per mandare avanti il programma di vendita di missili a Siria, Libia ed Iran, uno degli affari più redditizi del Paese.
 
Alcuni diplomatici di Seoul, anonimi, hanno espresso soddisfazione per il risultato della mediazione ed hanno annunciato la ripresa dei colloqui bilaterali sul commercio nelle zone di confine e sulle riunificazioni familiari.
 
Un portavoce del ministero degli Esteri di Tokyo, invece, dice che il suo governo “non crede” alla buona fede del regime stalinista e dichiara ancora validi gli embarghi sui beni di esportazione nipponica. Kenichiro Sasae, capo negoziatore a Pechino, ha inoltre espresso “dubbi personali” sulla possibilità di dare attuazione all’intesa.
 
Tang Jiaxuan, consigliere di Stato cinese inviato a Pyongyang un mese fa per convincere Kim a tornare al tavolo del disarmo, si dice “felice del risultato ottenuto”, ma  Zhang Langui, della Scuola centrale del Partito comunista cinese, avverte: “Smobilitare, congelare o interrompere non significa per forza abbandonare il programma nucleare. Dobbiamo vigilare e lavorare per convincere Pyongyang ad allontanarsi del tutto dagli armamenti nucleari”.
 
Allo stesso tempo, i rappresentanti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica – cui si sono aperti i confini nordcoreani – affermano di “essere pronti a scommettere” che nel corso della prossima visita ai reattori incriminati troveranno un potenziale bellico molto inferiore a quello sbandierato dal regime il 9 ottobre scorso, data in cui è scoppiata la crisi.
 
Pur essendo innegabilmente in possesso di una bomba atomica, dicono, Kim Jong-il sa fin troppo bene che tutto quello che ha dipende dalla benevolenza cinese, e che un conflitto atomico inizierebbe con la distruzione immediata del suo Paese.
 
Come ha dichiarato l'ex-segretario di Stato Usa Madaleine Albright, che lo aveva incontrato a Pyongyang sei anni fa, il dittatore del Nord “non è un folle. Finge di esserlo perchè la sopravvivenza sua e del suo regime dipendono dalla sua abilità nel ricattare le nazioni”.