Card. Cheong: “Preghiera e carità per far rinascere la Chiesa del Nord”
di Joseph Yun Li-sun
In occasione dell’80esimo anniversario dell’erezione della diocesi di Pyongyang, i cattolici coreani si sono riuniti nella cattedrale di Seoul per pregare affinché il sangue dei martiri del Nord ridia vigore e libertà alla Chiesa ed ai fedeli oppressi dal regime stalinista.
Seoul (AsiaNews) – Continuare a pregare per la Corea del Nord, affinché il sangue dei suoi martiri sia seme di libertà per la Chiesa e la popolazione intera, e nel frattempo mantenere aperto ogni possibile canale di dialogo con tutti gli interlocutori, per riportare nel Paese libertà e giustizia.
 
E’ questo l’invito contenuto nei messaggi letti nella cattedrale di Nostra Signora di Lourdes (la Myondong) il 18 marzo scorso, quando la Chiesa coreana ha ricordato l’80mo anniversario dell’erezione della diocesi di Pyongyang.
 
Nel corso della sua omelia, l’arcivescovo di Seoul ed amministratore apostolico di Pyongyang, card. Nicholas Cheong Jin-suk, ha detto: “Dobbiamo ricordare sempre il valore della preghiera, soprattutto quando pensiamo ai nostri fratelli del Nord. Sappiamo come la loro fede sia costretta al silenzio, ed è soprattutto per questo che dobbiamo elevare preghiere sempre più fervide al nostro Salvatore”.
 
Il predecessore del card. Cheong, l’arcivescovo emerito Stephen Kim Sou-hwan, ha aggiunto: “Il modo migliore di ricordare questo dramma, per me, è guardare l’Annuario pontificio e vedere, ogni anno, una riga vuota (dove dovrebbe essere il nome dell’attuale vescovo della capitale nordcoreana, ndr). Dobbiamo però sempre ricordare che c’è speranza anche dove non sembra, perché noi crediamo in Cristo, che ha sempre aiutato i perseguitati”.
 
Il nunzio apostolico, mons. Emil Paul Tscherring, ha chiesto invece di “ricordare in preghiera la popolazione che soffre”, ma ha sottolineato l’importanza di “fare il possibile per mostrare con atti pratici la solidarietà e l’amore cristiano”.
 
Una testimonianza importante è poi giunta dal p. Vittorino Youn Kong-hi, nato nella provincia di Pyongyang e poi fuggito dal regime stalinista, che ha detto: “Sono sicuro che in Corea del Nord vi è una base forte per l’evangelizzazione. Questa è nata e si mantiene viva grazie al sangue dei martiri coreani che, come scrive Tertulliano, è il seme della fede”.
 
La situazione della Chiesa cattolica in Corea del Nord è drammatica. Dalla fine della guerra civile (1953), le tre circoscrizioni ecclesiastiche e l’intera comunità cattolica sono state decimate in maniera brutale dal regime stalinista, che non ha lasciato vivo alcun sacerdote locale ed ha cacciato quelli stranieri. Si stimano in oltre 300mila i cristiani “scomparsi” durante i primi anni della persecuzione di Kim Il-sung, l’allora dittatore del Paese.
 
Tuttavia, il Papa ha continuato a mantenere vivo il clero assegnando le “sedi vacanti et ad nutum Sanctae Sedis” ad alcuni ordinari sudcoreani. Al momento, oltre al card. Cheong – che amministra la diocesi di Pyongyang – sono in carica mons. John Chan Yik, vescovo di Chuncheon ed amministratore di Hamhung, ed il p. Simon Peter Ri Hyeong-u, abate del monastero benedettino di Waegwan ed amministratore di Tokwon.
 
Per testimoniare la persecuzione del regime, nell’Annuario pontificio è ancora indicato vescovo di Pyongyang mons. Francis Hong Yong-ho (che oggi avrebbe 101 anni), scomparso dal 10 marzo del 1962, ma mai dichiarato ufficialmente morto.
 
Ad oggi, non vi sono strutture ecclesiastiche né sacerdoti residenti. Dopo l’inaugurazione della prima chiesa ortodossa, avvenuta nella capitale nordcoreana lo scorso agosto, la comunità cattolica rimane dunque l’unica a non avere alcun ministro per la loro fede.
 
Il numero ufficiale di cattolici riconosciuti è 800, un numero molto inferiore ai 3mila dichiarati di recente dal governo. La cosiddetta Associazione dei cattolici nordcoreani, un’organizzazione creata e gestita dal regime, continua a dichiararsi l’interlocutore ufficiale per i cattolici locali. La Santa Sede, tuttavia, ha sempre scoraggiato una visita dei dirigenti dell’Associazione a Roma, dato che permangono seri dubbi sul loro status giuridico e canonico. Ci sono infatti sospetti che siano solo funzionari di partito, neppure cattolici.
 
In Corea del Nord è permesso soltanto il culto del leader Kim Jong-Il e di suo padre Kim Il-Sung. Il regime ha sempre tentato di ostacolare la presenza religiosa, in particolare di buddisti e cristiani, e impone ai fedeli la registrazione in organizzazioni controllate dal Partito.
 
Pyongyang dichiara che la libertà religiosa è presente nel Paese e garantita dalla Costituzione: cifre governative ufficiali parlano di circa 10mila buddisti, 10mila protestanti e 3mila cattolici. Le stime del governo si riferiscono solo ai fedeli iscritti nelle associazioni riconosciute. A Pyongyang ci sono tre chiese, due protestanti ed una cattolica. Secondo il Rapporto ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre) 2004 sulle libertà religiose nel mondo, in queste chiese protestanti si fa molta propaganda al regime, e all'interno operano preti che paragonano il "caro leader" Kim Jong-Il ad un semidio.
 
Nell'unica chiesa cattolica non opera alcun prete, ma vi si svolge solo una preghiera collettiva una volta a settimana. Questi luoghi di culto sono stati più volte definiti “specchietti per le allodole”, destinate ai pochi turisti che riescono a visitare il Paese.