Verso una nuova Costituzione: Tokyo avrà ufficialmente l’esercito che già ha
di Pino Cazzaniga
L’attuale Carta fondamentale prevede la rinuncia del Paese all’uso della forza militare e quindi ad un esercito. Ma il Giappone ha il quinto bilancio militare del mondo e le sue Forze di autodifesa contano 25omila uomini e gli armamenti più avanzati.

Tokyo (AsiaNews) – L’annuncio dato dal premier giapponese, Shinzo Abe, di voler modificare la Costituzione ed in particolare l’art. 9 che prevede la rinuncia del Paese all’uso della forza militare, in certo modo mira a dare veste giuridica ad una realtà già esistente. Il Giappone ha infatti il quinto bilancio del mondo per le forze armate ed un esercito di 250mila uomini, dotati dell’armamento tecnologicamente più avanzato.

Nel discorso commemorativo della Costituzione, il 3 maggio – 60mo anniversario della Carta costituzionale (1947) – Abe ha detto: “Una coraggiosa revisione del regime del dopoguerra e un’approfondita discussione sulla costituzione creerà (nel popolo) lo spirito per tracciare una via nuova verso un’era nuova”. La frase non è retorica di circostanza ma la messa a fuoco di un punto importante del suo programma di governo.

Dieci anni fa l’allora primo ministro Ryutaro Hashimoto, celebrandone il 50mo, aveva detto: “Il Giappone si impegna a offrire attivi contributi alla pace e prosperità internazionale nel contesto della filosofia della costituzione”, che in termini chiari significa: rinunzia all’uso delle armi per risolvere problemi internazionali.

Abe dice il contrario: per essere all’altezza dei tempi occorre cambiare, e presto, la Costituzione compreso l’articolo 9 che risulterebbe un ostacolo a interventi a favore della sicurezza a livello globale.  Secondo questo articolo il Giappone rinuncia per sempre all’uso della forza (militare) per dirimere questioni internazionali, e; conseguentemente,  si vieta di possedere forze armate di terra, marittime o aeree.

“La nostra costituzione ha 60 anni; è quindi ora che vada in pensione”, ha osservato un personaggio del Partito Liberal Democratico (LDP), quello di Abe. E, in realtà, non solo tra le forze politiche, di governo o di opposizione, ma anche tra la popolazione i più sono favorevoli alla revisione: il 58% secondo una recente inchiesta del quotidiano Asahi. Ma i dati si capovolgono quando la domanda verte sull’articolo 9. Solo il 33% ne sostiene la revisione; il 59% desidera che rimanga sostanzialmente com’è. Anzi il 78% è del parere che quell’articolo ha aiutato il Giappone a rimanere in pace dal 1945 ad ora.

Il 3 maggio a Tokyo davanti a un pubblico di 6mila cittadini la signora Mizuno Fukushima, presidente del Partito social democratico, ha detto: “Per il Giappone è un grande successo il fatto che noi nel dopoguerra non abbiamo ucciso nessuno in guerra e che nessuno di noi è stato ucciso; e questo è stato reso possibile dall’articolo 9”.

Ma la realtà ci pone di fronte a un Giappone smilitarizzato solo nei principi. Le cosiddette forze di autodifesa (self-defence forces, SDF) hanno un effettivo di circa 250mila militari e un bilancio annuale di 45 miliardi di dollari: il quinto nel mondo dopo quello degli Stati Uniti, della Germania, dell’Inghilterra e della Francia.

Le SDF giapponesi sono dotate degli armamenti più moderni ad esclusione di quelli nucleari. La legge dei cosiddetti “tre principi anti-nucleari”, approvata dalla Dieta nel 1970, proibisce al Giappone di costruire, di possedere o di lasciar introdurre  nel territorio nazionale armamenti nucleari. Fino a quando? Recentemente         Shoichi Nakagawa, presidente del comitato di ricerca politica nel LDP, in seguito alla minaccia nord-coreana, ha invitato a iniziare la discussione sull’opportunità di poter disporre di armamenti nucleari. Abe, che è anche presidente del LDP, lo ha sconfessato dichiarando che il suo governo intende rimanere fedele ai tre principi antinucleari.

Oltre alle SDF in Giappone ci sono altri potenti arsenali militari. Nel 1952, l’anno della firma del trattato di pace del Giappone con gli Stati Uniti e altre nazioni, Tokyo e Washington hanno ratificato il “Patto di mutua assistenza nella sicurezza”, in forza del quale gli Stati Uniti hanno sull’arcipelago tre grosse basi militari servite da 47.000 uomini con aerei e armamenti non soggetti a limitazioni di sorta, appunto perchè le basi sono americane.

La realtà fa a pugni con il dettame costituzionale che vieta alla nazione di possedere forze armate. Come si è arrivati a tanto? La risposta è paradossale: grazie non solo al consenso, ma all’esortazione del governo degli Stati Uniti che è di fatto l’autore dell’attuale costituzione. Nel luglio del 1950, appena  tre anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, quando il grosso delle truppe americane di stanza sull’arcipelago è stato inviato in Corea, il quartiere generale delle forze di occupazione, cioè il generale Mc Arthur ha incoraggiato il Giappone a occuparsi della propria difesa, autorizzando la creazione di un corpo armato di 75mila uomini. Il resto è semplice sviluppo.

Per decenni mezzi e uomini delle forze di autodifesa non sono mai usciti dal territorio nazionale in forza dell’articolo 9, ma nel 2004 il governo giapponese ha ordinato uno spiegamento di truppe in Iraq, per contribuire alla ricostruzione del Paese, secondo le richieste degli Stati Uniti. L’invio ha marcato una significativa svolta nella storia del Giappone perché è la prima volta dalla fine della guerra che sue truppe vanno all’estero. Per giustificare la decisione il governo è ricorso a interpretazioni sibillline dell’articolo costituzionale e del patto di mutua difesa con gli Stati Uniti.

Tutto sarebbe più semplice se si mutasse la Costituzione che, secondo personalità di rilievo del partito di governo, non solo è antiquata ma è anche non conforme alla Carta delle Nazioni Unite, che riconosce alle nazioni membri il diritto di difesa militare per sé e di difesa collettiva nel caso di un attacco a una nazione amica.

Il filosofo Tetrsuya Takahashi, docente  nella prestigiosa università statale di Tokyo, non ha difficoltà a riconoscerlo. Secondo il diritto internazionale, ha detto, “le premesse di una nazione moderna è che essa abbia un esercito e che possa ricorrere alla guerra quando è necessaria. In questo senso l’attuale costituzione giapponese è rivoluzionaria in quanto ha cambiato completamente la natura della nazione”. Ma questo, ragiona Takahashi, è una gloria per il Giappone perché  lo rende antesignano di una cultura di pace anche nelle strutture giuridiche..