Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Migliaia di cristiani protestanti andranno in Cina durante le Olimpiadi per fare opera di evangelizzazione, approfittando della facilità d’ingresso nel Paese e dei molti stranieri presenti. Altre voci, invece, prospettano un boicottaggio, se Pechino non interverrà per il genocidio del Darfur.
Il Reverendo Johnny Li, dirigente di Porte Aperte, gruppo che difende i cristiani perseguitati di tutto il mondo, dice che “molte migliaia di persone vogliono recarsi in varie parti della Cina” e che un gruppo missionario tailandese ha diffuso un dvd in cui chiede aiuto a tutti i cristiani.
Da tempo gruppi cristiani approfittano dei grandi eventi, come le Olimpiadi, per fare opera di evangelizzazione, come è stato per i Giochi di Atene, Sidney e Atlanta. Ma per il 2008 c’è la rara opportunità di una grande apertura delle frontiere della Cina comunista. “In quel periodo – spiega Todd Nettleton di Voce dei martiri, gruppo che aiuta i cristiani perseguitati – sarà facile ottenere il visto di ingresso”. In America migliaia di cristiani battisti meridionali si preparano a fare “una messe spirituale diversa da qualsiasi altra”, tramite opere umanitarie, cliniche sportive, centri di pronto soccorso e altri progetti.
In Brasile si terrà una “Scuola di addestramento all’apostolato per le Olimpiadi 2008”. Ma i gruppi non rivelano meglio i loro progetti, per “ragioni di sicurezza”. Intanto molti “volontari” già si recano in Cina come turisti, per conoscere luoghi e persone. I legali dei cristiani cinesi dicono che questi volontari esteri corrono rischi minimi, al più l’espulsione. Ma il rischio è alto per i cinesi cristiani che collaborino con loro.
Il Comitato organizzatore olimpico di Pechino ha già annunciato che ci sarà un centro religioso nel Villaggio olimpico dove potranno andare tutti gli atleti.
Intanto molte voci minacciano una campagna di boicottaggio delle Olimpiadi. La scorsa settimana oltre 100 parlamentari Usa hanno mandato una lettera al presidente Hu Jintao chiedendo a Pechino di intervenire sul Sudan per far finire il genocidio nel Darfur e di cessare la vendita di armi a Khartoum.
Elijah Aleng, vicegovernatore della Banca centrale del Sudan, commenta che se la Cina continuerà ad importare il loro petrolio senza preoccuparsi di quanto accade alla popolazione, “favorirà la guerra, al di là delle buone intenzioni”, anche per l’aiuto che di fatto fornisce al governo islamico che da anni colpisce i ribelli cristiani e animisti del meridione del Paese. Finora Pechino non è intervenuta su Khartoum per cercare una soluzione, mentre ha bloccato le iniziative delle Nazioni Unite per irrogare sanzioni contro il Sudan e per mandarci una forza internazionale di pace, ripetendo che la soluzione va trovata “tramite il dialogo e la negoziazione”.