Fuochi artificiali e bombe accolgono la creazione del tribunale internazionale
La decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu accolta con gioia dalla maggioranza politica del Paese dei cedri, mentre l’opposizione tace. La Siria, che per 30 anni ha occupato il Libano, contesta l’istituzione perché “potrebbe ledere la sovranità di Beirut”.

Beirut (AsiaNews) – Fuochi artificiali di gioia nei quartieri sunniti di Beirut, una bomba contro la chiesa di San Michele in quello di  Shiyyah. Si evidenziano così le reazioni di questa notte all’annuncio che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la formazione del tribunale internazionale che dovrà giudicare i responsabili dell’assassinio dell’ex premier Rafic Hariri, ucciso con altre 22 persone il 14 febbraio 2005 a Beirut, allora controllata dalla Siria.

Positivi i giudizi degli esponenti della maggioranza, negativo quello siriano, silenzio, per ora, da parte dell’opposizione, a parte Michel Aoun, che ha comunque criticato la creazione di un tribunale “che non ha accusati”.

La decisione del Consiglio di sicurezza è stata presa con 10 voti a favore e nessuno contrario; si sono astenuti Russia, Cina, Sudafrica, Indonesia e Qatar. La risoluzione è stata presa sotto il Capitolo VII della Carta dell’Onu, che prevede interventi di fronte alle minacce contro la pace ed ha il numero 1757. Essa prevede l’entrata in vigore il 10 giugno dell’accordo tra l’Onu ed il governo libanese sull’istituzione del tribunale, a meno che entro tale data il Parlamento libanese non provveda alla sua ratifica.

Il tribunale entrerà in funzione in una data decisa dal segretario generale, consultandosi col governo del Libano e tenendo conto dell’avanzamento del lavoro della Commissione d’inchiesta internazionale”, che da quasi due anni sta indagando sull’attentato e sugli atri crimini politici commessi nel Paese dei cedri. In proposito, fonti diplomatiche dell’Onu parlano di un anno di tempo, sempre che la situazione interna libanese non degeneri ulteriormente.

Ambienti politici della maggioranza libanese ipotizzano ulteriori mosse dell’opposizione filo-siriana miranti a bloccare la concreta messa in opera del tribunale. Damasco, che teme di vedere coinvolti i massimi responsabili dei suoi servizi di sicurezza – e teme per la sopravvivenza del regime – ha già rifiutato, per bocca del presidente Bashar al Assad, ogni collaborazione col tribunale – l’agenzia ufficiale Sana ha detto ora che “potrebbe ledere la sovranità libanese” - e la stessa possibilità che suoi cittadini vengano sottoposti a giudizio. Secondo gli uomini della coalizione detta del 14 marzo – in maggioranza al parlamento – guidata del figlio di Rafic Hariri, Saad, vanno inquadrati nella paura siriana del tribunale non solo gli attentati che continuano a colpire il Libano, ma anche i tentativi di far cadere il governo, il progetto del presidente Emile Lahoud di crearne uno di “salvezza nazionale”, l’attacco in corso da parte dei terroristi di Fatah al-Islam, la non convocazione da mesi del Parlamento e gli attesi impedimenti che verranno posti alla scelta dei giudici libanesi che dovrebbero far parte del tribunale.

Mondo politico a parte, a favore del tribunale, stanotte, si è espresso il muftì della Repubblica, Mohammad Rashid Gabbani, che ne ha parlato come di “un mezzo per porre fine” agli attentati. In termini analoghi si era espresso, ieri, il patriarca maronita Nasrallah Sfeir. (PD)