Lee Tenghui allo Yasukuni, per la Cina un passo per l’indipendenza di Taiwan
di Pino Cazzaniga
L’ex presidente di Taipei è andato allo Yasukuni per rendere omaggio a suo fratello, che vi è onorato, ma Pechino vi vede un tentativo di ottenere l’appoggio giapponese per la sovranità dell’isola.
Tokyo (AsiaNews) – Erano prevedibili e temuti - ed in effetti ci sono stati - risvolti politici alla visita che alle 10 di mattina del 7 giugno Lee Tenghui, ex presidente di Taiwan ha compiuto al santuario-memoriale Yasukuni (Tokyo), dove è rimasto per 40 minuti. Una turba di telereporter, molti dei quali venuti dalla Cina e da Taiwan, lo attendevano nei recinti del tempio: ad essi non ha rivolto alcuna parola. Ma il motivo della visita era ben noto: Lee stesso ne aveva parlato sull’aereo una settimana prima durante il viaggio da Taipei a Tokyo. Lo spirito di suo fratello, Lee Tengchin, morto nella Filippine nel 1945, mentre militava nella marina militare giapponese, è onorato in questo tempio.
 
Data la natura del santuario, da molti asiatici ritenuto il simbolo del passato militarismo giapponese, amici e avversari, erano in attesa di qualche parola o gesto di natura politica. Per stroncare in radice ogni equivoca interpretazione, Lee, prima uscire dall’hotel, aveva detto ai reporter. “Vi prego di non vedere in questa visita privata una qualche dimensione politica o storica. Ero molto legato a mio fratello e da quando ci siamo separati a Gaoxiong (Taiwan) 62 anni fa non ci siamo più visti. Mio padre non ha voluto credere che fosse morto e così in casa mia non abbiamo né le ceneri né l’Hihai (la tavoletta commemorativa) per la venerazione cultuale”.
 
Lee a Tokyo era venuto 22 anni fa, ma allora non sapeva che lo spirito del fratello era venerato allo Yasukuni. Ora lo sa. “Questa mia venuta in Giappone – ha detto - potrebbe essere l’ultima nella mia vita e allora è insopportabile per me e offensivo per la mia famiglia non offrire un tributo di rispetto a mio fratello”. Chi ha una qualche familiarità con la cultura confuciana, sa quale forte valenza etica ha la venerazione per i familiari defunti.
 
E tuttavia, al di là delle intenzioni del protagonista, la dimensione politica è stata considerevole. A metterla a fuoco ci hanno pensato alcuni gruppi della destra ipernazionalista giapponese e, soprattutto la Cina. I primi lo hanno accolto all’entrata del santuario sventolando la bandiera del sol levante (Hinomaru) e gridando “banzai” e “Taiwan per sempre”. Hanno fatto un pessimo servizio non solo all’ospite che è passato oltre senza degnarli uno sguardo, ma anche alla delicata politica di dialogo instaurata dall’attuale governo giapponese.
 
Molto più preoccupante è stata la reazione del governo cinese. La Cina, che da sempre insulta Lee Tenghui in quanto leader del movimento di indipendenza dell’isola, ha subito aspramente condannato la sua visita allo Yasukuni. La signora Jiang Yu, portavoce del ministero degli esteri cinese, ha ironicamente commentato: ”Da quanto sta facendo in Giappone, possiamo vedere cosa egli ha in mente”, insinuando che la visita di Lee al tempio nazionalista è un tentativo di ottenere l’appoggio dei conservatori giapponesi per il movimento di indipendenza di Taiwan.
 
Ma stranamente non c’e’ stato un iroso attacco al governo di Tokyo. Un lavorio diplomatico tra i due governi ha preceduto il viaggio turistico dell’ex presidente di Taiwan. Il 30 maggio giorno della sua partenza da Taipei, il ministro degli esteri giapponese, Taro Aso, dopo un colloquio con la controparte cinese Yang Jiechi ad Amburgo (Germania), ha detto: “Noi pensiamo che questa visita non avrà un impatto politico (negativo) sulle nostre relazioni reciproche” e dopo la visita allo Yasukuni, il segretario capo del Gabinetto, Yasuhisa Shiozaki ha riconfermato la natura del viaggio.
 
“Siamo stati informati - ha detto - che questa visita ha come scopo scambi accademici e culturali” e ha aggiunto, in merito al pellegrinaggio al santuario contestato: “Egli viene come persona privata e non c’e’ molto che il governo possa dire al riguardo”.
Lee, dopo aver lasciata la presidenza (2000), era venuto in Giappone due volte per cure mediche, ma con un visto rilasciatogli a stento e a condizione di non venire a Tokyo e di non rilasciare alcuna dichiarazione. Questa volta gli è stato richiesto solo di astenersi dal fare discorsi di natura politica.
 
L’aver definito “culturale” il suo giro turistico in Giappone non è stata una copertura diplomatica. Lee Tenghui è un’amalgama ben riuscita di tre culture: la taiwanese, la giapponese e la cinese. Nato in una famiglia hakka in un villaggio agricolo preso Taipei nel 1923, ha avuto un’ottima formazione intellettuale grazie al governo giapponese, e si è laureato all’università imperiale di Kyoto. Negli anni ’70 entrato in politica nel contesto del Kuomingtang (il partito di Chiang Kai-shek) e raggiunta la presidenza (1988) si è sempre adoperato per la democratizzazione di Taiwan e per la promozione dell’elemento aborigeno.. È nel contesto culturale più che in quello politico che va inteso il suo movimento indipendentista.
 
Egli è venuto in Giappone anche per ricevere il premio “Goto Shinpei” (1857-1929), uno dei giapponesi illuminati che molto operò per lo sviluppo di Taiwan. Nel discorso di accettazione, dopo aver definito Goto Shinpei,”grande pioniere nello sviluppo di Taiwan”, ha aggiunto: “Io individualmente mi sento in relazione spirituale con lui perchè ho promosso la democratizzazione di Taiwan seguendo il suo modello”.
 
Lee Tenghui è cristiano. A nessun giornalista è stato concesso di entrare nel sacrario del tempio. Come vi si è comportato è stato rivelato dalla scrittrice cattolica Sono Ayako, che gli è amica da decenni. “Dopo essere stato in silenzio meditativo per alcuni minuti - ha raccontato - si è inchinato profondamente”. Ha poi ringraziato le autorità del tempio per aver conservato l’Hiai di suo fratello.