02/22/2016, 11.02
俄罗斯 – 梵蒂冈
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教宗方济各和基里尔会晤:古巴之后需要具体步骤

作者 Sergei Chapnin

罗马主教教宗方济各与全俄罗斯和莫斯科东正教会宗主教基里尔在古巴哈瓦那历史性拥抱充分展示了共同见证的渴望。但是,东正教会内的保守派强烈抵制,指责宗主教是“异端”。乌克兰问题的调解;深化神学对话与“共同计划”的合作、定期举行罗马和莫斯科会晤

莫斯科(亚洲新闻)—Il significato simbolico dell’incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill s’interpreta senza difficoltà: è l’aspirazione a colmare il divario tra le Chiese di Oriente e Occidente e la testimonianza comune dell’unità del mondo cristiano. Per tale testimonianza il fatto stesso dell’incontro è pienamente sufficiente. Non servono parole, bastano gli abbracci fraterni. Tuttavia, è accaduto qualcosa di più: il papa e il patriarca hanno firmato una dichiarazione congiunta, che contiene intenzioni serie da parte delle due Chiese e che apre prospettive per la futura collaborazione.

Forse, proprio questa è stata la cosa più inattesa. Sembrava che l’incontro di due ore all’aeroporto cubano non potesse portare risultati significativi. Era stato fatto di tutto per abbassare lo status dell’incontro: leader né politici, né religiosi di tale livello avevano mai condotto un incontro, in un contesto così dichiaratamente casuale e “tecnico”. Il protocollo ecclesiastico implica lo svolgimento degli incontri ad alto livello in cattedrali o grandi monasteri, nelle residenze, nei santuari o nei luoghi di pellegrinaggio.

Invece, improvvisamente il patriarca Kirill rompe l’approccio usuale e sceglie per l’incontro un posto inaspettato: Cuba. Inoltre, l’incontro si è svolto come se fosse in un luogo neutrale, un aeroporto, ma anche qui non si può fuggire dalla carica simbolica. L’aeroporto porta il nome di José Martí: il poeta cubano modernista e rivoluzionario, leader del movimento di liberazione. Ancora oggi lo chiamano “l’apostolo dell’indipendenza”. È una coincidenza o il patriarca ha voluto dire qualcosa? Forse in America Latina un simile gesto suscita più comprensione ed empatia, ma per gli ortodossi in Russia sembra come minimo strano.

Nei commenti dei rappresentanti ufficiali, alla vigilia dell’incontro, più di una volta è stato sottolineato che il papa e il patriarca non avrebbero fatto preghiere comuni e non avrebbero discusso di questioni teologiche. Da una parte questo è comprensibile: le parti hanno deciso di non disturbare i fondamentalisti ortodossi, che vedono in tutto un ritiro dall’ortodossia e una deviazione verso l’eresia. A ogni modo è una posizione debole: è strano e innaturale che i primati delle Chiese, che professano un’unica fede nella Santa Trinità, che si manifesta non in ultimo attraverso la preghiera, abbiano rifiutato in anticipo di pregare insieme durante l’incontro.

Tuttavia, all’inizio della dichiarazione congiunta le parti “deplorano la perdita dell’unità” e con dispiacere parlano del fatto che, nonostante la Tradizione comune dei primi 10 secoli, cattolici e ortodossi, da quasi 1000 anni, sono privati della comunione nell’Eucaristia. Questo problema è soltanto constatato, non sono previsti alcuni passi successivi, ma il riconoscimento palese della mancanza della comunione eucaristica tra le Chiese è una dichiarazione importante e in essa vi è un evidente contesto teologico. In questo vedo un’accurata allusione al fatto che la problematica teologica nel dialogo cattolici-ortodossi rimane in piedi e non si può ignorare.

La Dichiarazione comune e gli uniati

La dichiarazione adottata è un documento complesso e più ampio di quanto si potesse aspettare. In essa si osserva un equilibrio d’interessi ed è evidente che le Chiese abbiano fatto concessioni reciproche per raggiungere un accordo sul testo.

La prima cosa da notare è la morbida e persino ambigua formulazione riguardo la Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugkc). Proprio il conflitto tra ortodossi e greco-cattolici in Ucraina occidentale è stato indicato dal Patriarcato di Mosca, per lunghi anni, come uno degli ostacoli principali all’incontro tra il papa e il patriarca.

Il Patriarcato di Mosca ha avuto una posizione rigida e, in effetti, non costruttiva, pretendendo la condanna non solo dell’uniatismo come strumento di unificazione, ma anche dell’attività della comunità greco-cattolica. Per il Vaticano era inaccettabile, in quanto la Chiesa greco-cattolica fa parte del cattolicesimo romano ed è difficile immaginare come la si possa condannare.

L’elenco delle accuse alla Ugkc è piuttosto lungo: proselitismo tra gli ortodossi, retorica anti-russa, contatti con gli scismatici del ‘Patriarcato di Kiev’ e l’intenzione di riconoscere il loro battesimo, la dichiarazione unilaterale di farsi Patriarcato, etc… [1].

Tuttavia il Patriarcato di Mosca ha notevolmente ammorbidito la sua posizione: il lungo conflitto tra ortodossi e greco-cattolici è stato chiamato, in modo più soft, “tensioni”. Le parti hanno riconosciuto che il metodo dell’unitarismo (l’obbedienza delle comunità ortodosse al vescovo di Roma, pur mantenendo il proprio rito e le proprie istituzioni giuridico-ecclesiastiche) non rappresenta il “modo per ripristinare l’unità”. Come ha giustamente notato il prorettore dell’accademia spirituale di Kiev, Vladimir Bureg, praticamente si tratta della ripetizione parola per parola dell’accordo di Balamand del 1993[2].

Più avanti nel testo s’incontra ancora un altro importante riconoscimento, anche questo associato al documento di Balamand, ma da tempo non ripetuto: “Le comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli”. Questo paragrafo ha già suscitato insoddisfazione da entrambe le parti: sia quella degli ortodossi fondamentalisti in Russia, che dei greco-cattolici in Ucraina. Tuttavia in questa formula di compromesso si può trovare il potenziale per la cooperazione. Vi sono contenute tesi importanti, in relazione alla testimonianze dei cristiani nel mondo moderno.

A unire le Chiese non è solo il passato, ma anche il presente. E in primo luogo si tratta dei moderni martiri cristiani. La testimonianza di Cristo nel mondo contemporaneo è legata all’essere pronti a morire per la propria fede. È terribile, ma purtroppo è un’affermazione del tutto giustificata.

Un discorso a parte merita l’analisi dei temi sollevati in relazione alla situazione in Ucraina e in Medio Oriente. È degno di nota che non vi sia menzione delle azioni militari come possibile metodo per la soluzione dei problemi. In precedenza, la Chiesa ortodossa russa si era espressa a sostegno delle azioni militari della Russia in Siria. Qui, di questo non vi è menzione, mentre si parla solo di aiuti umanitari. Si può dire che il patriarca approvi la posizione del papa. Allo stesso tempo, sul conflitto in Ucraina si parla in formule significativamente più morbide e vaghe.

I problemi della famiglia, la giustizia sociale e la bioetica sono risolti in modo tradizionale e richiamati, molto probabilmente, per garantire spazio per ulteriore dialogo.

Patriarca “eretico”?

Come descrivere la nuova configurazione dei rapporti tra cattolici e ortodossi? Oggi nel fare stime serve prudenza. Il papa ha chiamato il documento lettera pastorale, nonostante il fatto che in essa siano affrontate problematiche sia sociali che politiche. L’incontro di papa Francesco e del patriarca Kirill ad alcuni ha donato speranza, mentre per altri è diventato il simbolo della “sconfitta” dell’ortodossia russa e persino un pretesto per accusare il patriarca di eresia. Le voci di coloro, che si sono espressi contro l’incontro del patriarca col papa e contro la dichiarazione congiunta risuonano in modo piuttosto forte. Il fronte di questi detrattori è abbastanza ampio: si tratta sia di monaci, che vivono sul Monte Athos, di preti e laici, leader di gruppi fondamentalisti e persino il professore di un importante ateneo russo.

La situazione è complicata dal fatto che il patriarca Kirill, letteralmente 10 giorni prima dell’incontro, ha insistito sulla canonizzazione dell’arcivescovo Serafim (Sobolev), che a metà del XX secolo aveva una posizione fortemente antiecumenica: “Nella questione ecumenica, non dobbiamo perdere di vista il fatto che all’origine del movimento ecumenico davanti a noi vi sono non solo i nemici ancestrali della nostra Chiesa ortodossa, ma il padre di tutte le menzogne e della perdizione, il diavolo. Nel secolo scorso, suscitando nella Chiesa ogni eresia, ha voluto distruggere la Santa Chiesa attraverso la mescolanza degli ortodossi con gli eretici. Questo ora lo fa anche mediante l’ecumenismo, con i suoi inesauribili capitali massonici”.[3]

Il patriarca Kirill ha dato la possibilità ai suoi critici di usare contro se stesso i testi del nuovo Santo. Perché il patriarca ha tenuto a questa canonizzazione alla vigilia dell’incontro con il papa? È stato casuale o egli ha inviato un segnale ai cattolici: teniamo molto in considerazione anche i critici dei contatti ecumenici.

Avviare i “progetti comuni”

Infine, la domanda chiave: qual è lo status del documento firmato? Dalla risposta dipende il destino del dialogo cattolico-ortodosso. Per i cattolici lo status è chiaro: è un documento firmato dal papa ed esprime la posizione della Chiesa cattolica romana. Ma non tutto è così chiaro dal punto di vista dello statuto della Chiesa ortodossa russa. Il patriarca parla a nome della Chiesa, in caso abbia l’autorizzazione del Concilio dei vescovi o almeno del Santo Sinodo. Però né il Concilio, né il Sinodo hanno dato la loro autorizzazione a questo incontro o hanno discusso il progetto di dichiarazione.

Inoltre, il patriarca Kirill ha fatto tutto il possibile perché il Concilio dei vescovi non sapesse di questo incontro e l’annuncio è stato dato dopo due giorni dalla fine dello stesso Concilio, quando la maggior parte dei vescovi era giù partita. I commentatori dal campo dei fondamentalisti sostengono che il patriarca abbia firmato questo documento a suo nome, di fatto, come un soggetto privato. Ma questo non è di certo così. Più probabilmente, verrà utilizzata la pratica comune in questi casi: i membri del Sinodo nella loro prossima riunione approveranno sia l’incontro, che la dichiarazione congiunta.

Quale delle due tematiche diventerà la principale: quella socio-politica o quella prettamente ecclesiastica? Per il patriarca, prima di tutto, è importante non parlare molto di questioni ecclesiastiche. Ma questo entra in grave conflitto con l’interpretazione sia dei cattolici, che dei fondamentalisti ortodossi. Paradossalmente le loro posizioni sono simili: sia il fatto dell’incontro, che la firma della dichiarazione fanno capire che il dialogo teologico non può essere evitato e i discorsi sull’avvicinamento non possono essere limitati alla sola problematica socio-politica. La differenza è che i cattolici valutano la situazione in modo positivo, mentre i fondamentalisti vi vedono toni apocalittici.

Sono necessari ulteriori passi. In particolare, un resoconto più dettagliato su cosa siano questi “progetti comuni”, di cui ha fatto menzione brevemente il papa a L’Avana. Se questi sono già stati elaborati bisogna avviarli, se invece no, bisogna prepararli con urgenza e quanto meno identificarli in modo chiaro.

La dichiarazione congiunta rimarrà solo sulla carta se a essa non seguirà un ampio e aperto sviluppo delle relazioni tra cattolici e ortodossi a tutti i livelli: a livello della Chiesa ufficiale, delle diocesi e singole parrocchie e a livello delle relazioni personali tra i membri della Chiesa ortodossa e quella cattolica-romana. Inoltre, gli incontri tra il papa e il patriarca devono diventare regolari.

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