10/04/2019, 13.21
GERMANIA - IRAQ - ISLAM
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‘Schiava’ yazidi di 5 anni morta di sete: jihadista Isis tedesca a processo per crimini di guerra

Si è aperto ieri a Monaco il processo a carico della 27enne Jennifer Wenisch, una “poliziotta della morale”. Assieme al marito, un combattente del Califfato, ha comprato la bambina e la madre. Incatenata al sole, la piccola è deceduta “sotto un caldo torrido”. La donna rischia l’ergastolo. Il problema dei foreing fighters di ritorno nei Paesi di origine. 

Monaco (AsiaNews/Agenzie) - Si è aperto ieri a Monaco, in Germania, fra imponenti misure di sicurezza il processo per “crimini di guerra” a carico di una donna tedesca che, in passato, si era unità alle milizie jihadiste dello Stato islamico (SI, ex Isis) in Siria e Iraq. Alla sbarra - assieme al marito - la 27enne Jennifer Wenisch, accusata di aver “fatto morire di sete” una bambina Yazidi di soli cinque anni, trattenuta a lungo in condizioni di schiavitù. 

Il caso è il primo del suo genere nel mondo per crimini commessi da jihadisti dell’ex Califfato ai danni della minoranza yazidi, fra le più colpite dalla follia dei radicali sunniti. Alla donna vengono contestati diversi capi di imputazione: omicidio, omicidio in un contesto di guerra, affiliazione a una organizzazione terrorista e violazione della legge tedesca sulle armi. 

In caso di condanna, la 27enne foreign fighter rischia fino all’ergastolo. 

Secondo la ricostruzione dei magistrati, nel 2015 Jennifer Wenisch avrebbe acquistato insieme al marito combattente Isis la bambina e sua madre, per ridurle in condizioni di “schiavitù”, mentre vivevano a Mosul, all’epoca considerata la roccaforte del Califfato in Iraq. La bambina si sarebbe ammalata e avrebbe bagnato il materasso. Per punizione l’uomo e la moglie, una “poliziotta della morale” dell’Isis, avrebbero incatenato la piccola all’esterno dell’abitazione “lasciandola morire di sete sotto un caldo torrido”. 

L’imputata, aggiungono i giudici, “ha permesso a suo marito di compiere questo gesto e non ha fatto nulla per fermarlo e salvare la bambina”. 

I media tedeschi, che hanno dato ampia eco alla vicenda, aggiungono inoltre che l’uomo Taha Sabah Noori Al-J ha picchiato a più riprese tanto la bambina, quanto la madre che oggi è presente al processo e si è costituita parte civile. Un giorno egli si sarebbe spinto a puntare una pistola sulla tempia della donna, per intimorirla. 

Jennifer Wenisch, un passato turbolento caratterizzato da un precoce abbandono scolastico e culminato nella conversione all’islam nel 2013, aveva lasciato la Germania a metà 2014 e, attraverso la Turchia, si era recata prima in Siria, poi in Iraq per unirsi all’Isis. Arruolata nella polizia della morale jihadista un anno più tardi, la donna ha svolto per diverso tempo servizi di “pattugliamento” per il Califfato nelle città di Mosul e Fallujah. 

Armata di Ak-47, una pistola e veste esplosiva, la giovane tedesca ha vigilato sul rispetto ferreo delle regole dei jihadisti in fatto di morale: vestiti conformi all’islam radicale (compreso il velo integrale per le donne), divieto assoluto di fumo e alcool.

Nel gennaio 2016, a mesi di distanza dalla morte della piccola yazidi, Jennifer Wenisch si è recata all’ambasciata tedesca ad Ankara per chiedere nuovi documenti di identità. Uscita dalla missione diplomatica di Berlino, la donna è stata arrestata dalle forze di sicurezza turche ed estrada in un secondo momento in Germania. Rilasciata per mancanza di prove, dopo una breve parentesi nella cittadina di origine è tornata di nuovo nei territori presidiati dall’Isis. 

La vicenda processuale della combattente tedesca fa riemergere il tema dei combattenti stranieri che si sono arruolati fra le fila dello Stato islamico e che, oggi, vengono in massima parte disconosciuti dai Paesi di origine. Stime della Commissione Ue riferiscono di oltre 42mila “foreing fighters” che si sono uniti a gruppi terroristi fra il 2011 e il 2016. Di questi, almeno 5mila dall’Europa. In un primo momento molti governi si sono rifiutati di rimpatriare i combattenti, ma le pressioni esercitate dagli Stati Uniti hanno portato alcuni Paesi a cedere. La prima è stata la Macedonia che, nel 2018, ha rimpatriato sette miliziani. A gennaio la Francia ha preso in considerazione il rimpatrio di 130 fra uomini e donne, ma finora alle parole non sono seguiti i fatti. La Germania prende tempo,  e segue da vicino la politica di Parigi. 

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