08/08/2014, 00.00
IRAQ - ONU - STATI UNITI
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Appello Onu alla comunità internazionale: fermare l’emergenza umanitaria in Iraq

Ieri il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito in via urgente per discutere della crisi nel Paese. Necessario fermare l’avanzata delle milizie islamiche e fornire sostegno e aiuti alla popolazione. Ban Ki-moon: “profondamente costernato”. Il presidente Usa Barack Obama autorizza attacchi aerei e l’invio di aiuti.

Baghdad (AsiaNews) - Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riunito ieri in una seduta urgente per discutere della crisi irakena, invita i governi della comunità internazionale ad aiutare Baghdad nell'affrontare l'emergenza umanitaria causata dall'offensiva jihadista nel nord del Paese. Sono centinaia di migliaia i cittadini in fuga dalle violenze dello Stato Islamico (ex Isis, Stato islamico dell'Iraq e del Levante), la maggior parte dei quali appartenenti alle minoranze cristiana e Yazidi. In un comunicato congiunto a firma dei 15 membri, il Consiglio di sicurezza Onu invita "la comunità internazionale a sostenere il governo e il popolo dell'Iraq e a fare tutto quanto è possibile per alleviare le sofferenze della gente". Il segretario generale Ban Ki-moon si è detto "profondamente costernato" per quanto sta avvenendo nel Paese arabo.

Con il passare dei giorni si fa sempre più tragica la situazione dei cristiani irakeni, cacciati dalle loro case e dalla loro terra in seguito all'avanzata inarrestabile delle milizie islamiste sunnite. La prima città a cadere è stata Mosul, seguita poi da diverse altre città del nord, nella piana di Ninive, come Sinjar, Telkef, Batnaya e Telleskuf. Essi hanno imposto di fatto un Califfato dove vige una rigida sharia, costringendo le minoranze alla fuga, alla conversione all'islam o al pagamento di una tassa (la jizya, da imporre a tutti gli "infedeli"). 

Nella notte fra il 6 e il 7 agosto i miliziani hanno preso il controllo di Qaraqosh, la più importante città cristiana nel nord dell'Iraq, e le aree limitrofe; almeno 100mila i membri della minoranza in fuga, che hanno abbandonato case, beni e proprietà in cerca di riparo. A facilitare l'avanzata dell'Isis, il progressivo ritiro dai territori dei Peshmerga, le truppe paramilitari curde che finora avevano rallentato l'avanzata degli islamisti.

Secondo gli esperti di politica internazionale, dietro il successo militare del Califfato islamico vi sono cinque elementi chiave: la disponibilità di nuove armi, sequestrate ai nemici sconfitti (come avvenuto a Mosul, quando l'esercito di Baghdad è fuggito senza combattere abbandonando armi e mezzi); l'esperienza accumulata nella guerra in Siria; battaglie mirate e una strategia vincente; una propaganda efficace, capace di usare anche le moderne tecnologie; la debolezza sempre più marcata degli opponenti, compresi i Peshmerga sul piano militare e il governo irakeno su quello politico.

Ieri Papa Francesco ha rinnovato il suo appello alla pace e alla "fine del dramma umanitario in atto in Iraq". In una dichiarazione a nome del pontefice, fatta dal direttore della Sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, si chiede alla comunità internazionale di "proteggere quanti sono interessati o minacciati dalla violenza". E, al contempo, di assicurare "gli aiuti necessari, soprattutto quelli più urgenti, a così tanti sfollati, la cui sorte dipende dalla solidarietà altrui". 

L'appello del Papa giunge all'indomani della drammatica lettera che il Patriarca di Baghdad ha inviato al pontefice, in cui denuncia l'esodo forzato dei cristiani e l'immobilità della comunità internazionale. Nella missiva Mar Sako auspica una "presa di coscienza" della comunità internazionale e delle superpotenze mondiali sulla necessità di "azioni concrete e di solidarietà" per i cristiani irakeni, perché è a rischio "la sopravvivenza stessa" in Iraq e nel Medio oriente. 

Intanto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama conferma di aver autorizzato raid aerei contro le milizie islamiche nel nord dell'Iraq, nel caso in cui la loro avanzata costituisca una minaccia per gli interessi americani e per arginare la "carneficina" delle minoranze religiose. Egli ha però escluso con forza l'invio di truppe sul campo nel Paese arabo. Washington sta inoltre predisponendo la distribuzione di aiuti umanitari per le popolazioni in fuga, in particolare le minoranze cristiana e Yazidi. "Gli Stati Uniti non possono e non devono intervenire ogni volta che si presenta una crisi in una parte del mondo - ha dichiarato Obama - ma non è possibile "chiudere un occhio" davanti a "orribili" violenze. "Possiamo agire, in modo attento e responsabile - ha concluso - per prevenire un potenziale atto di genocidio". 

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