17/08/2017, 13.49
INDIA
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Attivista gesuita: Dopo 70 anni, l’India è ancora sotto i tiranni

P. Cedric Prakash sj interviene in occasione del 70mo anniversario dell’indipendenza dell’Unione. Il Paese è “caduto nella tirannia” dei nazionalisti indù. A farne le spese, le minoranze religiose, il sistema di istruzione e la libertà di espressione. La poesia "Dove la mente non conosce paura". Al presente, il p. Prakash lavora per il Jesuit Refugee Service in Libano.

New Delhi (AsiaNews) – A 70 anni dall’indipendenza, sancita tra il 14 e il 15 agosto 1947, l’India “deve ancora destarsi”. È quanto sostiene ad AsiaNews p. Cedric Prakash sj, sacerdote indiano che lavora in Libano per il Jesuit Refugee Service. Egli interviene in occasione delle celebrazioni per il 70mo anniversario del Paese di origine. A tal proposito, ricorda che “proprio 70 anni fa, alla mezzanotte, per milioni di indiani è giunta l’indipendenza, nel momento in cui il Paese è arrivato all’appuntamento con il destino e si è destato ad una nuova alba!”. “Di certo – continua – negli ultimi anni l’India ha fatto numerosi rapidi passi in avanti in molti campi (grazie ai nostri lottatori per la libertà, i membri dell’Assemblea costituente e a molti altri ancora)”. Nonostante questo, è la sua opinione, “se si guarda a ciò che sta avvenendo nel Paese, non si può che giungere alla conclusione che in quanto nazione, anche se alla ‘matura’ età di 70 anni, dobbiamo ancora destarci!”.

Il sacerdote sottolinea che “nelle scorse settimane abbiamo assistito ad alcuni esempi palesi di come la corruzione, il settarismo, la divisione in caste e la criminalizzazione della politica abbiano accerchiato la nazione in una stretta morsa. Egli cita alcuni episodi, come le elezioni per la Rajya Sabha e lo Stato del Gujarat, segnati da casi di corruzione. Poi esprime preoccupazione per le nomine del nuovo presidente e del suo vice, entrambi esponenti del partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party. Inoltre riporta il triste caso della morte di quasi 80 bambini in un ospedale dell’Uttar Pradesh, deceduti per la mancanza di ossigeno nei reparti. Tutti questi avvenimenti, afferma, “sono come degli sforzi fatti per far cadere il Paese in tremendi abissi”.

P. Prakash ricorda che lo scorso 9 agosto ricorreva il 75mo anniversario del “Quit India Movement”, contraddistinto dal “sacrificio altruista del Mahatma Gandhi e di altri lottatori per la libertà” che portarono l’Unione ad ottenere l’indipendenza dal dominio britannico nel 1947. Da quelle lotte hanno preso le distanze i nazionalisti indù dell’Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh), che sono “proprio coloro che, per ironia della sorte, oggi controllano il destino del Paese” e si “attribuiscono il merito” di tali lotte.

Nel preambolo della “sacrosanta Costituzione”, approvata nel 1949, sono incardinati “i valori chiave di giustizia, libertà, uguaglianza, fraternità, che in contemporanea sono garanzie di sovranità e della natura laica e socialista del Paese”. Dalla visionaria leadership di B. Ambedkar, considerato il padre della Costituzione, è nata “l’idea di India: quella di un bellissimo quadro che avrebbe preservato, protetto e promosso il pluralismo e il rispetto dei diritti e della libertà di ogni cittadino”.

Ma il Paese di oggi “è molto lontano da quell’immagine di Costituzione. Sembra che i governanti non abbiano rimorsi di coscienza nel distruggere i valori democratici”. L’esempio più eclatante, riferisce, è la situazione in cui vivono le minoranze religiose, cristiana e musulmana: il pastore cristiano ucciso in Punjab; cimiteri e chiese vandalizzati a Goa; giovani musulmani linciati perché colpevoli di trasportare o consumare carne di vacca, animale sacro per gli indù; la legge anti-conversione approvata in Jharkhand, che prevede fino a tre anni di carcere e/o una multa di 100mila rupie (1.300 euro) per i trasgressori. “La lista è infinita – aggiunge con amarezza p. Prakash – e le minoranze in India non sono mai state peggio!”.

Nonostante la libertà di professare il proprio credo sia sancita dall’articolo 25 della Costituzione, negli ultimi anni si è assistito ad un rapido declino. Secondo il sacerdote, questo è vero soprattutto da quando nel 2014 al governo si è insediato il premier Narendra Modi, ex chief minister del Gujarat, la cui ideologia è in netto contrasto con i principi costituzionali. Ne è la conferma quanto dichiarato nel luglio 2014 da Deepak Dhavlikar, ex ministro a Goa: “Sono fiducioso che sotto la leadership di Modiji, l’India si trasformerà in una nazione indù”.

La prima vittima, secondo l’attivista, è il sistema educativo. Ne sono prova le frasi denigratorie contro il cristianesimo presenti nei libri di testo di vari Stati e l’obbligo di praticare lo yoga e cantare inni indù nelle scuole. L’obiettivo dichiarato è “nazionalizzare l’educazione”. Altre vittime sono “la libertà di espressione e di parola […] Chiunque non pensa, parla e agisce in linea con il governo è perseguitato, molestato e tormentato. Contro di essi vengono costruite false accuse ed è sempre più difficile trovare il coraggio di parlare quando si rischia la vendetta delle agenzie di governo”.

Per risvegliarsi dal torpore tirannico in cui l’India è caduta, e ritornare sulla via dei diritti e della democrazia, p. Prakash suggerisce la poesia di Rabindranath Tagore, premio Nobel per la Letteratura nel 1913, dal titolo “Dove la mente non conosce paura”:

Dove la mente non conosce paura
e la testa si tiene alta;
dove il sapere è libero;
dove il mondo non è ridotto in frammenti
da anguste pareti domestiche;

dove le parole sgorgano dalle profondità del vero;
dove un instancabile impegno protende le braccia verso la perfezione;
dove il limpido ruscello della ragione non s’è perduto
nelle monotone deserte sabbie di stracche abitudini;
dove la mente è da Te condotta
a un pensare e a un agire sempre più vasti...
Sotto tal cielo di libertà, Padre mio,
fa che il mio popolo si desti.

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