09/08/2022, 10.05
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Card. Sako: Ninive, la fuga dei cristiani dall’Isis ‘dolore’ sempre vivo

di Dario Salvi

A otto anni dall’avanzata dello Stato islamico nella piana, le famiglie aspettano ancora il pieno ritorno nelle loro case e nelle loro terre. La paralisi politica e istituzionale legata a interessi contrapposti. Il primate caldeo ricorda il valore della cittadinanza e pari diritti. Serve un “coraggioso dialogo nazionale”. 

Milano (AsiaNews) - A otto anni dall’esodo dei cristiani dalla piana di Ninive in seguito all’avanzata dello Stato islamico (SI, ex Isis), il dolore “resta sempre vivo” e la mancanza di prospettive alimenta sentimenti di “ansia e delusione”. È quanto scrive il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio ai fedeli in cui denuncia l’assenza ancora oggi “di un livello minimo di cittadinanza” e di rispetto “dei diritti umani”. Tanto che, a distanza di tempo, case e terre non sono ancora state restituite, in un clima generale “di violazioni, di umiliazioni, di esclusione dal mercato del lavoro e senza una vera rappresentanza in Parlamento”.

Nella notte fra il 6 e il 7 agosto, festa della Trasfigurazione, decine di migliaia di cristiani hanno abbandonato le terre della piana per sfuggire all’offensiva dell’Isis, che aveva già conquistato Mosul a giugno marchiando case e confiscando i beni. Un’avanzata favorita dallo sgretolamento dell’esercito regolare iracheno, da una ideologia fondamentalista che aveva pervaso gran parte della società e per l’improvvisa ritirata delle milizie Peshmerga. In quel terribile agosto 2014, gli uomini del “califfato” si sono impossessati di terre abitate da secoli dai cristiani, lasciando solo la prospettiva della fuga verso il Kurdistan portando con sé gli abiti indossati e poco altro.

Il primate caldeo chiede che i cristiani siano “riconosciuti” come cittadini, possano godere di pari diritti rappresentando, come numero, “la seconda religione monoteista in Iraq”. L’auspicio è che i progetti di riforma statale ipotizzati dal blocco sadrista e dal governo di Erbil “possano includere anche cristiani, yazidi e mandei” all’insegna di “uno spirito nazionale comune”. E dare seguito alla richiesta di “sicurezza, dignità e libertà” avanzata dallo stesso papa Francesco nella sua visita del marzo 2021. “La speranza è che possano ottenere i diritti negati”, che siano contrastati i discorsi - anche dai pulpiti - che alimentano odio e vi sia una “riforma dell’istruzione” che dia una immagine “positiva” delle religioni. Perché la convivenza “esige rispetto”.

Tuttavia, la situazione a distanza di anni resta difficile, fatta eccezione per un timido ritorno di alcune famiglie a Mosul e il tentativo di restituire terre e case alle famiglie. In base alle ultime statistiche, solo il 40% dei cristiani fuggito dalla metropoli e dalla piana di Ninive ha fatto ritorno; intanto continua la migrazione incessante che, da Erbil, porta intere famiglie a espatriare in Europa, negli Stati Uniti o in Australia per garantire un futuro di pace - e opportunità - ai figli. Quanti sono rimasti, o chi ha fatto ritorno dopo la sconfitta militare dell’Isis, cerca a fatica di ricostruire il tessuto sociale, economico e i luoghi di culto, ristrutturando chiese secolari o storici monasteri.

Una situazione che si inserisce in un quadro politico e istituzionale di stallo che, a distanza di 10 mesi dal voto, ha impedito l’elezione del presidente della Repubblica e la nascita di un nuovo esecutivo. Una paralisi alimentata dalle dimissioni dei deputati vicini al leader sciita Moqtada al-Sadr, la cui fazione aveva conquistato il maggior numero di seggi. Da qui la prospettiva di uno scioglimento anticipato del Parlamento - oggetto di proteste e occupazione - e nuove elezioni, una strada maggiormente percorribile rispetto alla stagnazione. Lo scenario attuale, sottolinea il patriarca Sako, appare “chiuso” e “privo di interesse pubblico”. Servono dialogo, trattative per delineare “una road-map di riforme” che i cittadini “aspettano da 19 anni. Sostengo con forza - conclude - l’iniziativa del premier al-Kazemi” finalizzata a un “coraggioso dialogo nazionale”. 

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