24/05/2022, 12.08
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Contenimento della Cina: Biden lancia nuovo patto commerciale per l’Indo-Pacifico

L’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity non è però un accordo di libero scambio. Aderiscono al momento 13 Paesi, compresa l’India. Focus su rispetto standard internazionali per investimenti in infrastrutture, catene di approvvigionamento ed economia digitale. Senza riduzioni tariffarie rischia di non funzionare. Pechino: no a tentativi di creare divisioni e conflitti.

Tokyo (AsiaNews) – Non è un grande accordo di libero scambio. L’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (Ipef) vola più basso: è una cornice di cooperazione commerciale tra gli Stati Uniti e diversi Paesi asiatici. Si concentrerà soprattutto su “lotta ai cambiamenti climatici, protezione delle catene globali di approvvigionamento e commercio digitale”. Lo ha puntualizzato la Casa Bianca subito dopo che ieri il presidente Usa Joe Biden ha lanciato l’iniziativa durante la sua visita in Giappone.

Oltre agli Stati Uniti, hanno aderito all’Ipef 12 nazioni: Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam.

Con il progetto Biden aggiunge un pilastro commerciale alla strategia Usa nell’Indo-Pacifico, volta a contenere l’ascesa geopolitica della Cina e finora confinata alla dimensione diplomatico-militare. Il presidente statunitense non ha potuto però ripristinare la partecipazione di Washington alla Trans-Pacific Partnership (Tpp, ora diventata Cptpp), l’intesa di libero scambio voluta dall’ex presidente Barack Obama e affondata da Donald Trump nel 2017. In larga parte democratici e repubblicani al Congresso sono contrari ad aprire il mercato interno ai competitivi prodotti asiatici: il loro timore è che l’economia Usa possa bruciare posti di lavoro.

Senza la riduzione reciproca di barriere e tariffe commerciali, i critici sostengono che i membri asiatici dell’Ipef avranno pochi vantaggi, fatto che potrebbe far naufragare il progetto. L’India e i Paesi del sud-est asiatico dovranno negoziare ad esempio l’accettazione di standard ambientali, sociali e lavorativi definiti dagli Stati Uniti e dalle altre nazioni avanzate. In assenza rischiano di vedersi precluso l’accesso a maggiori investimenti in infrastrutture e a tecnologie statunitensi.

Gina Raimondo, segretario Usa al Commercio, ha detto che l’Ipef vuole essere un’alternativa alla Belt and Road Initiative della Cina, ritenuta opaca e poco sostenibile da molti osservatori. Pechino non ha mostrato interesse ad aderire allo schema promosso da Biden; a detta di Washington proprio perché l’attenzione dell’Ipef al rispetto di determinati standard internazionali per gli investimenti lo rende poco attraente agli occhi cinesi.

La Cina ha preso subito le distanze da una iniziativa che percepisce come un altro strumento degli Usa per contrastare i suoi interessi nell’Indo-Pacifico. Sul piano militare i cinesi vedono allo stesso modo il Quad e Aukus. Il primo (Quadrilateral Security Dialogue) è un forum di discussione tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India che Pechino teme diventi una “Nato asiatica”. L’altro è un patto firmato a settembre da Washington, Canberra e Londra per aiutare gli australiani a sviluppare sommergibili a propulsione nucleare.

Ieri il ministro cinese degli Esteri Wang Yi ha detto che Pechino guarda con favore a proposte utili per rafforzare la cooperazione regionale, ma si “oppone a tentativi di creare divisioni e conflitti”. Proprio per evitare tensioni con la Cina, Washington ha escluso per il momento Taiwan dalle discussioni Ipef. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha sottolineato che gli Usa approfondiranno i legami commerciali con Taiwan su base bilaterale.

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