16/02/2005, 00.00
COREA DEL NORD
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Corea del Nord: unica religione è il culto del "caro leader" (scheda)

Pyongyang (AsiaNews) - In Corea del Nord è permesso soltanto il culto del leader Kim Jong-Il e di suo padre Kim Il-Sung. Il regime ha sempre tentato di ostacolare la presenza religiosa, in particolare di buddisti e cristiani, e impone ai fedeli la registrazione in organizzazioni controllate dal Partito. Sono frequenti le persecuzioni brutali e violente nei confronti dei fedeli non iscritti e di coloro che praticano l'attività missionaria. Da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300 mila cristiani e non ci sono più sacerdoti e suore, forse uccisi durante le persecuzioni. Attualmente sono circa 100 mila quelli che nei campi di lavoro sono sottoposti a fame, torture e perfino alla morte. Ex funzionari nord-coreani e prigionieri hanno affermato che i cristiani nei campi di rieducazione o in carcere sono trattati molto peggio degli altri detenuti.

In Nord Corea ci sono 51 categorie sociali, decise dallo Stato: coloro che praticano una fede non controllata dal governo sono a priori negli ultimi posti, con meno opportunità per l'istruzione ed il lavoro, non ricevono sussidi alimentari e sono costantemente vittime di brutali violenze.

Pyongyang dichiara che la libertà religiosa è presente nel Paese e garantita dalla Costituzione: cifre governative ufficiali parlano di circa 10 mila buddisti, 10 mila protestanti e 4 mila cattolici. Le stime del governo si riferiscono solo ai fedeli iscritti nelle associazioni riconosciute. A Pyongyang ci sono 3 chiese, 2 protestanti e 1 cattolica. Secondo il Rapporto ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre) 2004 sulle libertà religiose nel mondo, in queste chiese protestanti si fa molta propaganda al regime, e all'interno operano preti che paragonano il "caro leader" Kim Jong-Il ad un semidio. Nell'unica chiesa cattolica non opera alcun prete, ma vi si svolge solo una preghiera collettiva una volta a settimana.

E' altissimo il numero di coloro che cercano di espatriare, per fame o per motivi religiosi. Se vengono catturati sono condannati alla morte o ai lavori forzati. L'accordo fra Cina e Corea del Nord rende la situazione ancora più drammatica. La leadership della Repubblica popolare cinese ha infatti accettato di considerare i rifugiati nord coreani "profughi clandestini", e impone il rientro forzato in patria per coloro che vengono catturati sul suolo cinese.
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