11/09/2009, 00.00
INDIA
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Cristiani di Betticola, ancora profughi a più di un anno dai pogrom in Orissa

di Ajay Kumar Singh*
Assoluzione in primo grado di un politico del Bjp accusato per le violenze anti-cristiane dell’agosto 2008. Si riaprono le polemiche sull’impunità dei colpevoli dei pogrom e sull’insicurezza in cui vivono ancora molti cristiani. La storia della comunità cattolica di Betticola ripercorre le traversie di 45 famiglie che ancora oggi vivono da profughi nella loro terra.
Betticola (AsiaNews) – Il tribunale di primo grado del Kandhamal (Orissa) ha assolto Manoj Pradhan, parlamentare del partito nazionalista indù Barathiya Janata Party (Bjp), dall’accusa di rapimento e omicidio di Meghnad Dighal, cristiano del villaggio di Sankarkhol. Noto militante dei movimenti indù più radicali, Pradhan è accusato di aver preso parte al pogrom anti-cristiano dell’agosto 2008. Nonostante fosse stato arrestato, alle ultime elezioni di maggio, il Bjp lo ha candidato e fatto eleggere nell’Assemblea della città di G Udayagiri. Il tribunale di primo grado per ora lo ha assolto da tre dei 14 campi di imputazione sempre per insufficienze di prove. La vicenda di Pradhan ripropone in modo clamoroso la situazione dei processi in corso in Orissa contro i responsabili delle violenze anti-cristiane. Molti vengono assolti per insufficienza di prove, molti altri non vengono neppure indagati, nonostante le denunce delle vittime. Il fatto è all’origine della profonda insicurezza che i cristiani del Kandhamal continuano a lamentare. Pubblichiamo a questo proposito la storia della comunità cattolica di Betticola, dipartimento di G. Udayagiri, raccolta dallufficio Relief and Rehabilitation Response della diocesi di Bhubaneshwar
 
È passato ormai un anno dall’agosto 2008, quando i fondamentalisti indù hanno messo in atto le violenze contro i cristiani nel Kandhamal. Ma ancora oggi, per la comunità di Betticola nei pressi del villaggio di Lingagada, dipartimento di G. Udayagiri, il ritorno a casa resta un sogno. Nemmeno una delle 45 famiglie ha il coraggio di passare la notte nel villaggio d’origine dopo la carneficina del Kandhamal.
 
La visita ai rifugiati di Nandapur e al campo profughi ribattezzato Shanti Nagar, rivela una storia fatta di fede e paura. Chi ci vive porta con sé l’esperienza di un lungo esodo. Nella terribile notte del 23 agosto 2008 i membri della locale comunità cristiana sono costretti con la forza ad abbandonare case ed averi da assalitori e saccheggiatori dei gruppi estremisti indù. Una giornata campale durante la quale i fanatici radono al suolo anche la parrocchia cattolica. Dopo un paio di giorni nascosti nella giungla, gli scampati al pogrom arrivano quasi strisciando nel campo di accoglienza di G. Udayagiri, costruito vicino alla città. Da lì la comunità è spostata nel centro provvisorio di Bhubaneswar, capitale dello Stato dell’Orissa, a circa 250 km dal loro villaggio di Betticola. Dopo un mese di permanenza è ancora alta la possibilità di nuovi attacchi dei fanatici indù. Jisaya Digal, giovane di 20 anni afferma oggi: “Bhubaneswar ci dava un senso di sollievo temporaneo”.
 
Credendo nelle promesse fatte dall’amministrazione locale su cibo e sicurezza, le famiglie cristiane partono alla volta del Kandhamal con grandi speranze nel marzo del 2009. Ma una volta arrivati nel distretto, con loro sgomento, si ritrovano sulla strada. Niente cibo da mettere nello stomaco, nessuna tenda sotto cui ripararsi. Per loro fortuna i portici del mercato all’aperto di G. Udayagiri offrono ai profughi un riparo, mentre per il cibo è la buona volontà dei vicini e delle chiese a dare risposta.
 
Le 45 famiglie di senzatetto vivono una condizione tanto disgraziata da richiamare l’attenzione anche del servizio World News della BBC nella domenica di Pasqua, il 12 aprile 2009. Anche le autorità del governo locale reagiscono davanti alle tristi condizioni delle famiglie. A giugno vengono spostate al Tikabali relief camp, a 30 chilometri distanti dalla città.
 
Quando, nella prima settimana di luglio, il campo di Tikabali viene smantellato, l’amministrazione locale decide di trasferire il gruppo nel villaggio di Nandapur garantendoli un fazzoletto di terra di 16 metri quadri. L’ironia della sorte: alcune famiglie posseggono appezzamenti di terra 15 volte più grandi di quelli offerti dal governo.
 
Intanto la stagione delle piogge avanza lentamente. I senzatetto dormono e resistono in tende piantate su un terreno ormai diventato palude e con continue infiltrazioni d’acqua. Nelle tende di 4 metri per 5 vivono insieme sino a cinque famiglie. Durante il periodo più intenso delle piogge vecchi e giovani, donne e uomini, ragazzi e ragazza si rannicchiano l’uno accanto all’altro in un unico spazio comune. Tutto ciò che hanno sono due vestiti a testa ed una piccola scatola di latta data dalla diocesi di Cuttack-Bhuabeneswar. Oltre a questo hanno una razione di cibo per 10 giorni e la promessa del governo di 50mila rupie, poco più di mille dollari, per ricostruirsi la casa.
 
Per donne e bambini il vero problema è di non avere un minimo di riservatezza. Non hanno nessuna assistenza sanitaria, nessuna comodità neppure nei servizi igienici dato che non ci sono bagni o gabinetto provvisori.
 
I rifugiati implorano: “Dateci un lavoro”. Sono davanti ad una sola opzione: lasciare il Kandhamal per altri Stati in cerca di opportunità di sostentamento o restare e accettare un futuro incerto. Gli uomini non possono lasciare donne e bambini su una strada a bordo della foresta, ignota e insicura.
 
Krishen Mallick, 60enne, si arrende al destino e decide di partire per una terra sconosciuta. Oggi racconta come l’amministrazione locale non ha facilitato il loro ritorno nei villaggio d’origine eccetto che per partecipare ad iniziative di facciata sulla pace in cui i fanatici indù ostentano la loro egemonia  nell’area. In questi incontri i essi affermano che sono pronti ad accettare il ritorno delle famiglie dei cristiani sfollati solo se si convertono all’induismo. Ma le comunità cristiane vogliono tornare a casa loro da cristiani.
 
I cristiani sono pronti ad affrontare ogni avversità, ma non a piegarsi alle domande alle minacce e alle intimidazioni dei fondamentalisti. Gli integralisti indù non si preoccupano delle iniziative di pace promosse dalle autorità. Anche la presenza dei più alti responsabili amministrativi non li scompone. Usano i cosiddetti comitati di pace per intimidire i cristiani già sotto pressione e mandano segnali per far capire che l’autorità locale non li impensierisce.
 
Helena Digal, donna 40enne, lo dice singhiozzando, ma in modo chiaro: “Possiamo morire, ma non diventeremo mai indù”.
 
Pramod Digal, 40 anni, quando qualcuno gli chiede se spera di tornare nella sua terra natale, risponde: “Sogno di tornare a casa un giorno”, ma poi aggiunge: “Se verranno fermati i colpevoli, o almeno i quattro leader della zona, che hanno distrutto le nostre abitazioni e sono ancora liberi di andare in giro ad intimidire le vittime”.
 
La paura non è senza motivo come dimostra la passata vicenda di p. Lameswar Kanhar, ex parroco di Betticola. Sacerdote tribale del Kandhamal, il 16 ottobre del 2000 è stato picchiato spietatamente nel villaggio, riportando ferrite interne ed esterne. È tornato a casa solo dopo un anno di cure profonde e con un plotone della polizia a guardia di ogni possibile nuova violenza. I colpevoli dell’attacco sono ancora impuniti.
 
Gli abitanti del villaggio aspettano ancora di conoscere se le denunce contro chi ha dato fuoco e depredato le loro case saranno accolte o meno. Nessuno sembra preoccuparsi di rendere giustizia a questi sventurati. La famiglie cristiane non sanno come potranno garantire un’educazione per il loro figli anche se la Chiesa è pronta a sostenere alcuni studenti per almeno un anno avendo una quantità di fondi limitato. La loro speranza, i desideri ed il futuro resta incerto. Quello che si chiedono è “Cosa ci aspetta?”. Si sono arresi a Gesù e confidano in lui per la risposta alle loro domande.
 
* Coordinatore generale del Relief and Rehabilitation Response di Bhubaneshwar
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