08/10/2021, 08.54
TAGIKISTAN
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Dušanbe punisce l’educazione religiosa ‘clandestina’ dei bambini

di Vladimir Rozanskij

Introdotte ulteriori misure dopo il bando alle scuole religiose private del 2016. Governo teme la diffusione di idee estremiste. Giovani andati all’estero per studi religiosi rimpatriati con la forza. Nuova stretta vista da molti tagiki come una violazione della libertà religiosa.

Mosca (AsiaNews) – Il Tagikistan hanno introdotto nuove misure punitive contro l’educazione religiosa “clandestina” dell’infanzia. Il 6 ottobre i deputati del Madzhilis Namoyandagon, la Camera bassa del Parlamento, hanno approvato alcune modifiche al codice penale, secondo le quali è prevista la privazione della libertà fino a tre anni in caso di educazione religiosa illegale, comprese le lezioni impartite tramite internet.

Le modifiche sono opera del governo; Nusratullo Mirzoyev, primo vice presidente del Comitato statale per la sicurezza, le ha poi presentate alla Camera. Secondo la sua relazione, “il 95% dei giovani che aderiscono a gruppi e organizzazioni di tendenza radicale ha ricevuto la prima formazione in scuole religiose private”. Nel 2019-2020, e nei primi 9 mesi dell’anno in corso, le autorità tagike hanno rilevato 1.833 casi di formazione religiosa illegale: segnalati 43 imam-khatiba, 983 ministri del culto illegali, 32 insegnanti e 17 studenti. I mullah ricevevano dagli studenti tra i 200 e i 5mila somoni (tra 20 e 500 euro circa) per l’esercizio del culto. Per aver portato i propri figli alle scuole religiose private, 33 genitori hanno ricevuto sanzioni amministrative.

Secondo le nuove norme, per l’infrazione riguardante l’educazione religiosa sono applicate multe tra 48mila e 72mila somoni. Se il cittadino già multato ricade nella stessa violazione entro un anno dalla sanzione, può essere imprigionato fino a tre anni. Mirzoyev ha spiegato la pericolosità dei corsi online, per i quali pure è previsto l’arresto e la detenzione fino a tre anni.

Il bando alle scuole religiose private è in vigore in Tagikistan dal 2016. Per il governo è una risposta al pericolo di radicalizzazione ed estremismo religioso. Le autorità ritengono che gli elementi estremisti di queste forme d’insegnamento possono rovinare la mentalità dei giovani tagiki, anche solo partecipando alle preghiere comuni in edifici privati, difficili da controllare.

Già nel 2011 erano state approvate norme secondo le quali la formazione religiosa all’estero è permessa solo dietro accordo con le autorità, e solo dopo la conclusione della formazione in patria. Il presidente Emomali Rakhmon aveva allora ammonito che i tagiki nelle madrase straniere “non diventano dei mullah, ma dei terroristi”. Secondo le informazioni del Comitato per gli affari religiosi, dal 2010 il governo ha rimpatriato con la forza oltre 3mila cittadini tagiki che hanno ricevuto una formazione religiosa per vie illegali in Yemen, Siria, Egitto, Pakistan, Bangladesh, Afghanistan, Iraq e Iran.

Poche settimane fa, come è stato reso noto ieri, 10 bambini tagiki sono stati riportati in patria dal Bangladesh, dove stavano seguendo dei corsi di studi in una scuola religiosa. Le autorità hanno sistemato i giovani in un convitto statale, dove dovranno passare un periodo di “riadattamento”.

Il padre di uno dei ragazzi, Mahmadsharif Saidov, ha denunciato a Radio Ozody la requisizione del figlio 13enne S.M., che aveva portato via dalla città di Bahdat nel 2015 dopo la chiusura del liceo locale. Da Almaty in Kazakistan padre e figlio erano andati a Dubai, e da lì in Bangladesh, perché “io volevo che mio figlio diventasse un lettore del Corano”. Dopo il ritorno il figlio ha vissuto qualche tempo a casa dei genitori, per essere poi trasferito nella struttura governativa “per ragazzi difficili”. Ai genitori non è permesso vederlo, ne’ tantomeno portarlo a casa almeno nei fine settimana.

Le motivazioni della nuova stretta contro l’estremismo religioso sono state esplicitamente collegate alla nuova situazione creatasi dopo la presa del potere dei talebani a Kabul. Molti musulmani tagiki ritengono comunque che tali limitazioni rappresentino una violazione dei propri diritti alla libertà di coscienza e di educazione.

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