24/11/2021, 09.42
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Emirati: oltre tolleranza e innovazione, un paradiso fiscale per evasori e trafficanti

Dietro le luci del dialogo e dello sviluppo, l’ombra di una politica opaca in tema di finanza svelata dai “Pandora papers”. Una zona franca per riciclare denaro sporco e fare affari, usato anche da società riconducibili alla guida suprema iraniana Khamenei. Gli interessi economici più forti delle contrapposizioni regionali, politiche e confessionali. 

Dubai (AsiaNews) - Cuore pulsante e centro strategico del commercio regionale e internazionale, capace di primeggiare nonostante l’agguerrita concorrenza, volto dialogante dell’islam e teatro in questi mesi di Expo2020, rimandata di un anno a causa della pandemia di Covid-19. Dubai, e più in generale gli Emirati Arabi Uniti (Eau), rappresentano forse il fiore all’occhiello della nuova ricchezza proiettata verso il futuro che pervade oggi molte nazioni del Medio oriente, soprattutto gli Stati del Golfo. Che puntano sulla finanza, sull’innovazione tecnologica e il terzo settore per superare la decennale dipendenza da petrolio e idrocarburi. 

Tuttavia, alle molte luci fanno da contraltare alcune ombre sui diritti cui si è aggiunta, di recente, una certa opacità in tema di trasparenza finanziaria. A sollevare il velo sugli affari che ruotano attorno agli Emirati e alle famiglie reali al potere è l’inchiesta “Pandora papers” pubblicata di recente e frutto di un lungo lavoro di ricerca e analisi dei documenti ad opera dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). 

Dall’indagine emerge anche l’altro lato degli Emirati: un ricchissimo paradiso fiscale e societario che cela al proprio interno molte zone franche dove è possibile fare affari e gestire patrimoni nel più completo anonimato, oltre a riciclare denaro “sporco”, senza pagare tasse e beneficiando della protezione dei vertici. Migliaia di personalità di primo piano che approfittano di questo scudo, dallo sport all’economia; tuttavia, fra i nomi emerge anche quello della guida suprema iraniana, il grande ayatollah Ali Khamenei - con una società e lui riconducibile - in teoria lui, sciita, primo rivale delle grandi monarchie sunnite del Golfo.

Gli Eau ospitano un fiorente commercio fondato sul segreto finanziario, contraddistinto da società offshore che mascherano le identità dei loro veri proprietari. E sfruttano un sistema normativo che è famoso per il suo motto “Non far domande, non vedere approcci malvagi”, per il denaro legato al contrabbando di oro, armi e proventi criminali. Gli oltre 11,9 milioni di file nei Pandora Papers includono circa 190mila scritti riservati di SFM Corporate Services, società degli Emirati definita “fornitore di formazione per società offshore numero uno al mondo”. SFM è una delle migliaia di aziende che aiutano i clienti a incorporare società, comprese quelle difficili da rintracciare, e vanta una rete globale di avvocati, commercialisti e operatori che arricchiscono il commercio.

I giornalisti investigativi di Icij hanno identificato quasi 3mila nominativi negli Emirati, nelle Isole Vergini britanniche e in altri centri finanziari offshore, inseriti con l’aiuto o grazie ai servizi di SFM. Fra i beneficiari vi sono magnati dell’oro, di internet, imprenditori del dark web e almeno una ventina di persone accusate di crimini finanziari o illeciti. Per anni la società ha operato al sedicesimo piano dell’H Hotel al numero uno di Sheikh Zayed Road, edificio di proprietà dello sceicco Hazza bin Zayed Al Nahyan, ex consigliere per la sicurezza nazionale e fratello dello sceicco Mohammed bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi candidato alla presidenza degli Emirati.

I file mostrano che il primo ministro degli Emirati è collegato - attraverso due società nelle Isole Vergini britanniche - al fondatore di Dark Matter, società di sicurezza informatica accusata di spiare attivisti per i diritti umani e funzionari governativi in più Paesi. Infine, l’interesse per gli affari diventa anche più forte di contrapposizioni regionali, politiche e confessionali: dai file emersi dagli archivi di SFM, confermati da alcuni dipendenti in forma anonima, spuntano legami con clienti iraniani e di altre nazioni colpite da sanzioni Usa. L’azienda aveva al suo interno due compagnie di un cittadino tedesco di origini iraniane chiamato Abdolhadi Tabibi, già direttore di GIC International, una sussidiaria della Ghadir Investment, parte di una fondazione multi-miliardaria sotto il diretto controllo di Khamenei. Un gioco di scatole cinesi che, a dispetto delle rivalità di facciata, lega sul piano economico il grande ayatollah sciita con la più importante monarchia sunnita del Golfo. 

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