14/01/2022, 11.23
SIRIA - CINA
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Fra timori e speranze, Damasco percorre la ‘via della seta’ cinese

Rappresentanti di Pechino e siriani firmano l’ingresso ufficiale nella Belt and Road Initiative. Per gli organi ufficiali è il mezzo per rafforzare e rilanciare i rapporti bilaterali. La Cina ha inviato un milione di vaccini anti-Covid e Assad rilancia l’asse della “resistenza”. Per i favorevoli è una risposta alla bomba della povertà causata dal conflitto. Ma c’è chi parla di “male in peggio”. 

Damasco (AsiaNews) - Segno di una rinnovata alleanza in chiave economica e anti-occidentale, in questi giorni Damasco e Pechino hanno sottoscritto una serie di memorandum di intesa che sanciscono l’ingresso ufficiale della Siria nelle “nuove Vie della seta” di Pechino. Il governo del presidente Bashar al-Assad ha ufficializzato l’adesione - dopo anni di voci e trattative - alla Belt and Road Initiative, il piano infrastrutturale globale lanciato nel 2013 da Xi Jinping per accrescere la centralità commerciale - e, al tempo stesso, geopolitica - del gigante asiatico.

Una notizia accolta con pareri contrastanti: i favorevoli ritengono che possa essere funzionale a un rilancio del Paese dopo la guerra e la crisi economica acuita dalle sanzioni occidentali, in cui la “bomba della povertà” ha riflessi ed effetti persino peggiori del conflitto stesso. Altri non nascondono il timore di finire invischiati nella rete del dragone, come accaduto a molte altre nazioni oggi indebitate per di miliardi di dollari con Pechino. Tanto che una fonte istituzionale di AsiaNews a Damasco, dietro anonimato, afferma che “stiamo andando di male in peggio” mentre la pace e la ripresa “sono ancora un sogno lontano”. 

A firmare l’accordo Fadi al-Khalil, capo della Commissione siriana per la pianificazione e la cooperazione, e Feng Biao, ambasciatore cinese a Damasco. “La Siria - ha detto Khalil - era una delle nazioni fondatrici dell’antica Via della seta, soprattutto le città di Aleppo e Palmira. Con questa iniziativa faremo rivivere questa strada maestra” oltre a “rafforzare la collaborazione reciproca in un quadro di relazioni amichevoli”. Soddisfazione viene espressa anche dall’ambasciatore Feng, che giudica tracciati “obiettivi e progetti” per “rafforzare” le relazioni e la “partecipazione cinese alla ricostruzione economica della Siria”. 

Anche gli organi di stampa ufficiali dei rispettivi Paesi celebrano l’intesa: per la siriana Sana permetterà di “allargare gli orizzonti di collaborazione con la Cina” e le altre nazioni partner, con scambi di merci, tecnologia e capitali unite al movimento di persone e un ritorno a livello culturale. In una intervista al Global Times Zhou Rong, esperto del Chongyang Institute for Financial Studies all’università di Renmin, spiega che “la partecipazione della Siria alla Belt and Road significa che l'iniziativa [di Xi] non ha più angoli ciechi in Medio oriente, a dimostrazione della sua influenza e appeal” per la regione. Prova ne sarebbe l’ingresso in passato di Arabia Saudita, Iran e Turchia solo per fare alcuni nomi. 

Analisti e osservatori interpellati da Newsweek ricordano che dietro la firma vi sarebbero anche le durissime sanzioni occidentali - fra le quali il Caesar Act Usa - contro Damasco, nella speranza di ottenere un’ancora di salvezza e una spinta agli investimenti. I danni della guerra, civile interna e per procura fra potenze regionali e internazionali sul suolo siriano, sono ancora evidenti ed emergono sempre più testimonianze di progressivo impoverimento della società. Da qui la necessità urgente di rilanciare l’economia e di restituire centralità a una nazione relegata ai margini. 

Del resto Pechino e Damasco puntano da tempo sul rafforzamento della cooperazione bilaterale, sancita fra gli altri dal lungo colloquio telefonico avvenuto a novembre fra Xi e Assad. Di recente la Cina ha inviato un milione di dosi di vaccino - peraltro di dubbia efficacia - alla Siria nella lotta contro il Covid-19. Infine, la scorsa settimana il presidente siriano ha invocato un allargamento "dell'asse della resistenza” di nazioni e attori non-statali che si oppongono all’Occidente e alle sue politiche nella regione. 

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