21/06/2019, 15.19
FILIPPINE
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Guerra alla droga, attivista denuncia: ‘Duterte racconta bugie ai filippini’

Rubylin Litao è diaconessa del Chiesa metodista unita e coordinatrice di Rise Up for Life and for Rights. Nata nel novembre 2016, l'organizzazione convoglia gli sforzi di varie denominazioni religiose ed associazioni per contrastare gli omicidi e cercare giustizia. "Abbiamo il dovere di batterci per la verità".

Manila (AsiaNews) – Il presidente filippino Rodrigo Duterte e la sua amministrazione "mentono ai cittadini sulla guerra alla droga, in corso nelle strade dei quartieri più poveri del Paese". Lo dichiara ad AsiaNews Rubylin Litao (foto), diaconessa del Chiesa metodista unita e coordinatrice di Rise Up for Life and for Rights. Il gruppo unisce attivisti per i diritti umani, leader cristiani e famiglie di persone che hanno perso la vita a causa di operazioni antidroga o uccisioni extragiudiziali. Due giorni fa, la Polizia nazionale (Pnp) ha portato ad oltre 6.600 il numero dei morti ufficiali nel giro di vite voluto dal presidente. "Le statistiche rilasciate dal governo sulle vittime – afferma Litao – cambiano in continuazione e non sono attendibili. Secondo i resoconti di media e attivisti affidabili, il numero dei morti è compreso tra le 27mila e le 30mila unità. Anche se si trattasse di una o due persone soltanto, sarebbe un fatto gravissimo!".

Nata nel novembre 2016, la rete di Rise Up convoglia gli sforzi di varie denominazioni religiose ed associazioni comunitarie, per contrastare gli omicidi e cercare giustizia. L'organizzazione è impegnata anche in programmi per sostenere le famiglie delle vittime ed aiutare i tossicodipendenti a riabilitarsi. "La cosiddetta 'guerra alla droga', indetta dal presidente dopo la sua ascesa al potere – nel giugno 2016 – ha subito sollevato sospetti allarmanti: in soli due mesi, le persone uccise in circostanze da chiarire erano già circa 4mila. La cosa ancor più preoccupante è che le vittime appartenevano alle comunità urbane più povere e non sono state sottoposte a regolare processo", racconta Litao.

"Questo – prosegue l'attivista – ha spinto attivisti, in particolare persone di Chiesa, a fare qualcosa per difendere la vita, fermare gli omicidi e affrontare le radici del problema delle droghe illegali. Noi non siamo contrari ai programmi del governo per contrastare il fenomeno, ma ci opponiamo ad un approccio che tolleri l'uccisione di persone. Con il sostegno di altre organizzazioni, su tutte Promotion of Church People's Response (Pcpr), abbiamo dato vita ad una campagna: raccolte firme, raduni di preghiera, veglie. All'inizio, in molti ci criticavano perché ritenevano che fossimo contro il presidente a priori. Nell'ottobre 2016 abbiamo cominciato a recarci nelle comunità, documentare i vari casi di abusi ed incontrare le famiglie delle vittime. Queste hanno paura, non sanno a chi rivolgersi, perché nella maggior parte dei casi i loro cari sono morti durante operazioni in stile Tokhang".

Tokhang è un termine composto da due parole in cebuano, lingua madre di Duterte: tuktok è un'onomatopea che indica 'bussare' e hangyo significa 'richiesta'. Esse fanno riferimento alle irruzioni della polizia nelle case dei sospettati. In coordinamento con i militari e grazie all'aiuto di informatori, le unità della polizia locale compilano elenchi di presunti spacciatori o consumatori di droga nei barangays (quartieri). Gli agenti si presentano poi alla porta delle case dei sospettati, invitandoli ad "arrendersi" presso i commissariati di zona. Gli attivisti denunciano però che "i poliziotti adottano la politica del 'prima spara e poi, in caso, fai domande'".

Nonostante la documentata violenza della guerra alla droga, molti filippini continuano a sostenere le politiche drastiche del presidente. Il sostegno popolare di cui gode Duterte non sorprende tuttavia Litao: "I precedenti governi – spiega – non hanno mai fatto abbastanza per contrastare la diffusione delle droghe. Il presidente, col suo modo di fare diretto e che parla alla pancia delle persone, è riuscito a capitalizzare sul malcontento generale. Ma noi abbiamo il dovere di batterci per la verità, far capire ai filippini che il presidente racconta menzogne". (P.F.)

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