08/03/2022, 12.55
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Il grande gioco della Turchia sull'Ucraina

di Marta Ottaviani

L'incontro an Antalya tra i ministri degli Esteri di Mosca e Kiev. La visita ad Ankara (dopo vent'anni) di un presidente israeliano. Intorno ad un'area del mondo vitale per i suoi interessi economici, Erdogan punta a riaccreditarsi nella politica internazionale. Ma la Russia sa che ne pagherebbe il prezzo nei teatri dove oggi è alleata solo di fatto con la Turchia.

Milano (AsiaNews) - Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, si prepara a ospitare una mediazione con la quale potrebbe dare scacco matto su ben tre fronti: la Russia, l’Occidente e quella parte del mondo islamico-sunnita che mal tollera l’esuberanza diplomatica alla quale Ankara ci ha abituati fin dal 2009. E sicuramente, in caso di riuscita dei negoziati fra Russia e Ucraina, il capo di Stato è pronto a passare all’incasso.

Dietro a questa Turchia - in prima linea in quella che, al momento, è la crisi internazionale per eccellenza - ce n’è anche un’altra che ha bisogno di questa mediazione per due motivi. Il primo è che la zona del Mar Nero è vitale per i suoi interessi economici e in un momento in cui l’economia nazionale non è particolarmente florido, non può assolutamente permettersi una crisi nell’area prolungata. Il secondo è la necessità di ricollocarsi nell’arena globale dove, se da una parte vuole aiutare la Russia alleata (per convenienza), dall’altra sta cercando di riposizionarsi e di uscire dall’isolamento che ormai la caratterizza da tempo.

Fra il 9 e il 10 marzo, proprio mentre ad Antalya ferveranno i preparativi per ospitare i ministri degli esteri russo, Sergeij Lavrov, e ucraino, Dmytro Kuleba, ad Ankara arriverà il presidente israeliano, Isaac Herzog, per incontrare l’omologo, Recep Tayyip Erdogan. Una visita che dalla stampa turca è già stata ribattezzata ‘storica’. Sono due decenni che un capo di Stato israeliano non mette piede in Turchia e per di più l’avvento di Herzog dovrebbe segnare l’inizio di un disgelo ad ampio spettro fra i due ex alleati, dopo anni in cui, va detto, dal presidente Erdogan sono arrivate accuse di ogni tipo e in cui la Mezzaluna è stata più volte accusata di finanziare Hamas.

Non solo. Proprio nei primi giorni di questa nuova crisi russo-ucraina, la Turchia ha avviato un riavvicinamento anche agli Emirati Arabi Uniti, da cui Ankara aveva preso le distanze proprio a causa della loro mano tesa verso Israele.

Questo il contesto turco in cui inquadrare i negoziati che partono fra due giorni dove, particolare importante, Ankara ha ottenuto che si siedano solo Russia e Ucraina, senza di rappresentanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, precondizione che Mosca ha cercato di sostenere fino all’ultimo.

Ma che cosa si giocano Turchia e Russia con questa mediazione? Per Ankara è la grande occasione, che attende da tempo, per venire identificata dalla comunità internazionale come un grande player a livello mondiale. Non solo. Se la mediazione dovesse riuscire, vanterebbe un credito non indifferente con l’Occidente e ne potrebbe approfittare in vario modo. L’amministrazione Biden, che fino a questo momento ha tenuto la Turchia a debita distanza, verrebbe costretta a ricalibrare il suo rapporto con quello che, un tempo, era un alleato di ferro.

Sotto scacco anche l’Unione Europea. Nei giorni scorsi, il presidente Erdogan aveva usato toni polemici nei confronti di un possibile ingresso accelerato per l’Ucraina, facendo notare come i negoziati di ingresso per la Turchia siano in fase di stallo cronico. È più che probabile che Ankara farà pesare il suo ruolo nella crisi per ottenere almeno la liberalizzazione dei visti, che poi è l’obiettivo che sta realmente a cuore al presidente della Repubblica turca.

Il conto più salato, però, lo pagherebbe proprio la Russia di Putin; ed è il motivo per cui il presidente russo ha dato prima la precedenza alla Bielorussia. Il capo del Cremlino rischia che vengano ridiscussi i rapporti di forza in un’alleanza che è sempre somigliata più a un matrimonio di interessi. Un doppio filo fatto da rapporti commerciali e collaborazione energetica. E questo è il motivo per cui Ankara ha chiuso il Bosforo, appellandosi alla convenzione di Montreux quasi fuori tempo massimo, quando ormai dal Bosforo era comodamente transitato tutto quello che poteva transitare, nonché mantenendo i voli cargo e i rapporti commerciali attivi.

Però tutto questo ha un prezzo e la Russia lo pagherà in quei teatri internazionali dove Mosca e Ankara sono presenti, apparentemente allineate, ma nei fatti divise da interessi e visioni differenti. L’esempio più macroscopico è la Siria, ma si potrebbero aggiungere anche la Libia, il Caucaso e l’Africa Centrale.

C’è però un aspetto fino a questo momento passato sotto traccia e che rischia di rivelarsi particolarmente insidioso per Putin. La tutela, da parte della Turchia, dei tatari di Crimea, o almeno di quello che ne è rimasto, oltre, naturalmente, ai tanti turchi che vivono nel Paese. Un motivo umanitario dietro al quale, come ormai di consueto, se ne nasconde uno strategico. Il Tatarstan è uno dei soggetti della Federazione Russa dove la Turchia è più presente a livello di investimenti e di influenza culturale. Non è difficile immaginare come a Erdogan possa fare gola ergersi a garante delle popolazioni musulmane che vivono in Russia, cercando di infiltrare, anche lì, i Fratelli musulmani.

 

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