24/10/2011, 00.00
LIBIA
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Islam, tribù e democrazia: il futuro difficile della Libia

di Francesco Zannini
Ieri alla proclamazione della liberazione, Jalil ha rivendicato la sharia come base per la Nuova Libia. Le ambiguità della costituzione: promette libertà religiosa ai non musulmani, ma afferma la sharia come fonte delle leggi. L’unità dello Stato rischia di sbriciolarsi a causa delle 3000 e più tribù; gli interessi locali si scontrano con quelli internazionali.
Roma (AsiaNews) – Una folla di circa un milione ha esultato ieri alla proclamazione della liberazione della Libia a Bengasi, dove è iniziata la rivolta contro Gheddafi. Il leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Mustafa Abdul Jalil, ha chiesto a tutti i libici di “essere una sola carne, una sola nazione. Siamo divenuti fratelli come mai in passato”. Abdul Jalil, che si era inchinato con devozione davanti a Dio prima di fare il suo discorso, ha anche spiegato che la nuova Libia avrà la sharia come sua fondazione: gli interessi delle banche saranno limitati e sarà tolto il limite al numero di mogli che un libico può sposare.

Proseguono intanto le polemiche sull’esecuzione sommaria del rais. L’autopsia ha confermato che Gheddafi è stato ucciso per un colpo alla testa. Rimangono poi differenze fra i rivoluzionari di Misurata, che vogliono tenere esposto il corpo dell’ex dittatore e la tribù di Sirte che vuole seppellire il suo “martire”.

Le tappe della nuova Libia prevedono entro otto mesi le elezioni per una Conferenza nazionale che a sua volta sceglierà un governo ad interim e una Commissione costituente per la nuova costituzione. Il testo sarà sottoposto a referendum e se passa, entro sei mesi vi saranno le elezioni politiche. Ma fin da ora si intravvedono difficoltà: anzitutto come integrare le varie tribù; poi come disarmare i gruppi armati che hanno fatto la rivoluzione; come si prospetta la convivenza fra modernità e sharia.

Sulle prospettive future del Paese, AsiaNews ha domandato il parere del prof. Francesco Zannini, islamologo al Pontificio istituto studi arabi a Roma.

Le immagini scioccanti della morte di Gheddafi e della fine del suo regime gettano un’ombra scura sul futuro di una possibile democrazia in Libia, dove il desiderio di giustizia, democrazia e diritti umani si mescolano a interessi locali e internazionali che avvolgono questo ricco Paese del petrolio.

L’industrializzazione e urbanizzazione voluti da Gheddafi non hanno mai soppresso l’antica tradizione tribale, la loro struttura familiare e sociale, legata anche agli ordini sufi. Al contrario, essi hanno una grande influenza nella società e in diverse occasioni hanno giocato un ruolo politico importante.

L’autoritarismo di Gheddafi ha stabilito una sorta di socialismo islamico in cui islam e socialismo sono stati piegati al suo potere. Al suo controllo politico, basato su una specie di accordo fra i gruppi tribali e la popolazione urbana, sono sfuggite alcune aree come la Cirenaica, dove è iniziata la rivolta politica e dove gruppi islamici fondamentalisti hanno mostrato la loro presenza, anche se sembravano essere stati banditi dal Paese. Il potere di Gheddafi - conquistato non con la democrazia, ma con una leadership populista e personale - è emersa nella sua debolezza, senza lasciare spazio al dialogo e ricorrendo alla violenza. Il rifiuto di Gheddafi ad accettare le richieste popolari, insieme allo scoppio delle rivolte, ha portato all’intervento straniero in una specie di guerra dove l’interesse per le risorse petrolifere, i conflitti tribali, l’immigrazione, le tensioni interne alla stessa opposizione ha reso il tutto abbastanza incerto.

Non va dimenticato che il successo militare dei ribelli è più frutto dell’intervento straniero che della forza delle truppe locali. È anche evidente che la sorte del governo ribelle è nelle mani delle 2335 tribù della Libia, specie nel momento attuale, in cui le tensioni sembrano emergere fra i ribelli stessi.

Non va dimenticato che mesi fa, Mustafa Abdel Jalil, capo del Cnt, è stato costretto a dimettere l’intero comitato esecutivo, dopo l’assassinio del generale comandante Abdel-Fatah Younes, e questo aggiunge un altro segno alla confusione che regna nella leadership. Tutto ciò rende ancora più precari e complicati i passi nell’era post-Gheddafi e apre molti interrogativi sull’intero processo democratico.

Perfino il testo (bozza) della Costituzione libica fa affiorare gli stessi problemi.
Ad esempio, l’articolo 1 della bozza esprime il desiderio di democrazia che è stato alla base delle rivolte: “la Libia è uno Stato indipendente e democratico, il popolo è la fonte dell’autorità”. E sottolinea con chiarezza: “Per i non musulmani, lo Stato garantisce la libertà di pratica dei diritti religiosi e il rispetto per il loro sistema di statuto personale”. Allo stesso tempo, la bozza contiene la tipica contraddizione presente nella maggior parte delle costituzione arabe. E cioè, nello stesso articolo 1 si afferma: “L’islam è la religione dello Stato e la fonte principale delle leggi è la giurisprudenza islamica (sharia)”.

Non è dunque chiaro quale sarà la reale “fonte di autorità”. Inoltre, questo riferimento alla sharia metterà limiti a un progetto di società laica e moderna, al una piena uguaglianza fra i cittadini e a una piena attuazione dei diritti umani. In più, tale riferimento frenerà una piena evoluzione democratica del Paese, che è stata la fondamentale caratteristica, richiesta dalla “primavera araba”

Vi è anche una domanda su come una popolazione - che per decine di anni non ha mai visto una elezione libera – potrà scegliere in modo giusto i loro rappresentanti al Congresso nazionale. Questa è una nuova sfida che potrà mostrare se il popolo libico sarà capace di percorrere il cammino della democrazia, libero da alleanze tribali, pressioni religiose e interessi privati.

La “rivoluzione libica” ha dei tratti simili a quelli della cosiddetta “primavera araba”, in cui sono presenti elementi liberali e laici, ma essa è differente da tutte le altre rivolte. Non è ancora chiaro se una Libia libera sarà capace di trarre frutto da quei principi che hanno dominato all’inizio della rivolta, o se il suo futuro sarà dominato dalle fazioni locali, da elementi tribali, da interessi politici locali e internazionali.
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