24/08/2022, 08.54
RUSSIA
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L’economia di guerra russa: la bolla patriottica e il futuro incerto

di Vladimir Rozanskij

Anche ad agosto nonostante le sanzioni occidentali si registra un calo dei prezzi al consumo e il rublo resta forte. Decisivo il prezzo del greggio, che sta però frenando per la minore richiesta dalla Cina. Il silenzio di economisti ed esperti legati al Cremlino. Tra settembre e dicembre si gioca il futuro del Paese, con conseguenze globali. 

Mosca (AsiaNews) - Mentre le sanzioni occidentali iniziano a mettere seriamente in crisi molti settori dell’economia russa, la popolazione vive da tre mesi ormai in una bolla illusoria di benessere patriottico. Dalle ultime rilevazioni anche il mese di agosto, dopo i due precedenti, vede un costante calo dei prezzi dei generi più comuni nei negozi e sui mercati, e il cambio di dollaro ed euro intorno ai 60 rubli (rispetto agli 80 di prima della guerra). Un fenomeno mai accaduto nell’ultimo secolo, che infonde un generale ottimismo ma deve ancora superare le vere prove alle porte.

Intanto i russi si godono un’estate di tranquillità e relativa agiatezza, dopo il panico della primavera di inizio della guerra: le politiche di sostegno alla moneta mantengono il “rublo forte” al riparo da misure che ne limitano le transazioni a livello internazionale, le riserve di prodotti occidentali non si sono ancora esaurite, sebbene comincino a scarseggiare. McDonald’s e Starbucks sono stati sostituiti con varianti nazionali, che cercano di offrire caffè e hamburger dello stesso livello.

La deflazione viene calcolata e trionfalmente annunciata dall’istituto di statistica Rosstat non più mese per mese, ma settimana per settimana; gli economisti si chiedono quanto potrà durare l’idillio, cercando di evitare le maledizioni degli oppositori e l’estasi degli esperti di Stato. Ovviamente l’indicatore principale dell’economia russa è il prezzo del petrolio al barile, che attualmente sta intorno ai 95 dollari, scendendo per la prima volta sotto il livello precedente al 24 febbraio. La causa di questo calo è attribuita principalmente alla minore richiesta da parte della Cina, alle prese con nuove restrizioni da Covid, e questo significa anche che il caro-petrolio non è un fattore così vincolante come si pensava.

La richiesta di greggio dipende da molte circostanze e se nelle principali economie mondiali inizierà un processo di recessione - prospettiva abbastanza verosimile -, allora il prezzo al barile scenderà di molto e per molto tempo, mettendo davvero in crisi la Russia. Attualmente il petrolio “Urals” si vende a 65 dollari, più o meno come nel 2021 quando era mediamente a 69 dollari, senza quindi aver guadagnato dai rialzi dei mesi scorsi: manca il cosiddetto “premio della crisi”, anche se la dipendenza dei Paesi europei dalla Russia in questo settore è ancora molto forte. E questo prima degli attesi cataclismi invernali.

Il bilancio statale non viene illustrato dal governo già da qualche mese, a differenza degli anni scorsi, e su questo fioriscono ipotesi di fantasia. Non si sa ad esempio a quanto ammontino veramente le spese militari russe. In linea di massima si calcola che il bilancio a luglio sia superiore del 15% circa a quello del 2021, quando il deficit era stato fissato a 900 miliardi di rubli, quindi l’aumento potrebbe arrivare a fine anno oltre i 10mila miliardi. Difficilmente si potrà coprire una simile voragine evitando le emissioni massicce di denaro, che comporterebbero l’inevitabile aumento dei prezzi, ma si tratta di ragionamenti affidati a processi consueti, mentre un deficit del genere in Russia non si era ancora visto.

In luglio l’enorme aumento delle uscite, del resto, si è accompagnato a un deciso calo delle entrate, il 26% in meno dell’anno scorso, comprese le entrate per le esportazioni di petrolio, e anche le vendite di gas in Europa si ridurranno sensibilmente nei prossimi mesi. L’Iva è crollata a sua volta del 42%, e gli esperti non sanno che conclusioni prendere; probabilmente neanche i rappresentanti del ministero delle finanze di Mosca, che sono costretti al silenzio e all’ottimismo di facciata.

Si attende qualche chiarimento dai dati di settembre, almeno per quanto riguarda le entrate fiscali. L’inflazione in seguito a emissioni straordinarie di valuta di solito impiega due-tre mesi ad impennarsi, e il calo dei prezzi di gas e petrolio dovrebbe imporre anche l’indebolimento del rublo rispetto a dollaro, euro e yuan. Tra settembre e dicembre 2022, insomma, si capirà il futuro dell’economia russa, e le conseguenze a livello mondiale.

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