16/09/2020, 12.42
MEDIO ORIENTE - USA
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La pace degli ‘Accordi di Abramo’: razzi da Gaza, proteste in Palestina e Bahrain

Ieri la firma della normalizzazione delle relazioni fra Israele, Emirati e Bahrain. Un momento “storico” per i promotori, ma pesa l’assenza dei regnanti di Abu Dhabi e Manama. Abu Mazen: niente pace senza la fine dell’occupazione. Sullo sfondo il nodo irrisolto della soluzione dei due Stati e il piano di annessione, che Netanyahu non ha sconfessato.

Gerusalemme (AsiaNews) - Un accordo in chiave anti-iraniana voluto dai rispettivi leader, alcuni dei quali (leggi Emirati Arabi Uniti e Bahrain) non hanno voluto esporsi in prima persona, inviando fedelissimi per la firma. E ancora, un intreccio di relazioni in chiave economica e militare fra governi distante dalla volontà e dagli interessi dei popoli coinvolti. La firma dei cosiddetti “Accordi di Abramo” avvenuti ieri alla Casa Bianca, salutati come una nuova era di pace per il Medio oriente secondo i sostenitori, hanno già provocato tensioni: gruppi palestinesi, in patria e negli Stati Uniti, sono scesi in piazza a protestare, mentre dalla Striscia di Gaza sono partiti razzi verso il sud di Israele, provocando due feriti. 

All’evento hanno presenziato il presidente Usa Donald Trump, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i ministri degli Esteri [e non i governanti, ndr] di Abu Dhabi e Manama Abdullah bin Zayed e Abdullatif al-Zayani. L’inquilino della Casa Bianca ha affermato che, pur senza fare nomi, vi sarebbero già altre sette o otto nazioni del mondo arabo pronte a “normalizzare” i rapporti con lo Stato ebraico e aprire a relazioni diplomatiche ufficiali. Fra questi vi sono “grandi Paesi, almeno un grande Paese” ha aggiunto, parlando di “un grande momento storico” ma altri “ne giungeranno in modo piuttosto rapido”. 

L’atto ufficiale, alla presenza di una nutrita schiera di persone non sempre distanziate e molte senza mascherina pur in tempo di pandemia, è stato sottoscritto nella South Lawn già teatro della firma degli Accordi di Oslo del 1993 con i palestinesi. Israele ha raggiunto con Abu Dhabi un “trattato di pace” dal valore giuridico internazionale, mentre col Bahrain si parla di “dichiarazione di pace” a livello di intenti. Altre due nazioni del mondo arabo che si aggiungono all’Egitto nel 1979 e alla Giordania nel 1994. 

Grazie a questi accordi, i musulmani nel mondo dovrebbero poter visitare i luoghi storici dell’islam fra Israele e Palestina e pregare nella moschea di al-Aqsa, terza per importanza per i fedeli di Maometto dopo la Mecca e Medina. Nel corso della cerimonia il ministro degli Esteri del Bahrain Abdullatif al-Zayani ha lanciato un appello perché si arrivi alla “soluzione dei due Stati”, riconoscendo che la firma è una “opportunità d’oro per la pace, la sicurezza e la prosperità” del Medio oriente. L’omologo degli Emirati Abdullah bin Zayed sottolinea che la normalizzazione dei rapporti con Israele permetterà agli Emirati si sostenere con più forza i palestinesi nella nascita di uno Stato indipendente e, rivolgendosi a Netanyahu, lo ha “ringraziato per aver deciso di mettere fine all’annessione dei territori palestinesi”. Parlando di “svolta storica”, il premier israeliano si è detto convinto che “questa pace si espanderà, includerà altri Stati arabi e aiuterà a porre fine al conflitto arabo-israeliano una volta per tutte”. Tuttavia, la sua posizione - in particolare sul tema degli insediamenti e il progetto di annessione “congelato” - resta ambigua e non vi sono riferimenti a una rinuncia al progetto. 

In realtà, mentre a Washington si procedeva alla firma degli “Accordi di Abramo” nel sud di Israele tornavano a risuonare le sirene di allarme per il lancio di razzi dalla Striscia, che hanno provocato il ferimento di due persone. Immediata la risposta dell’esercito con una azione mirata dei caccia con la Stella di David ed elicotteri di assalto che hanno centrato una decina di depositi e “obiettivi terroristici di Hamas” come recita una nota del comando militare. Non solo razzi, ma anche proteste diffuse a Gaza e in Cisgiordania: a Nablus e Hebron manifestanti con bandiere palestinesi e mascherine blu hanno manifestato contro gli accordi. A Gaza i dimostranti hanno calpestato e incendiato manifesti raffiguranti Netanyahu, il re del Bahrein Hamad bin Isa al-Khalifa e il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al-Nahyan. 

Sul fronte palestinese, poco dopo la cerimonia ufficiale è stata diffusa una dichiarazione del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen il quale ha sottolineato che “non ci sarà pace, sicurezza o stabilità per nessuno nella regione senza la fine dell’occupazione”. E, ha aggiunto, il “rispetto” dei diritti del popolo palestinese. Un sondaggio fra i palestinesi pubblicato ieri dal Palestinian Center for Policy and Survey Research su un campione di 1300 intervistati  sembra dare ragione all’anziano leader: l’86% ritiene che la normalizzazione dei rapporti con gli Emirati sia a solo vantaggio di Israele. E anche fra gli israeliani crescono i timori di un via libera degli Stati Uniti alla vendita di armi sofisticate ad Abu Dhabi e Manama, stravolgendo l’attuale leadership di Israele nella regione come potenza militare. 

Infine, a fronte di una generale indifferenza negli Emirati, non bisogna trascurare in Bahrain l’opposizione della società civile all’accordo, da cui ha già preso a più riprese le distanze. Il governo di Manama la scorsa settimana ha approvato una norma che vieta ai parlamentari di pronunciare discorsi che “criticano gli interessi del Paese”. Un tentativo di limitare il dissenso, mentre i gruppi di opposizione e gruppi filo-sciiti hanno già respinto l’accordo e annunciato manifestazioni e proteste.

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