23/11/2022, 13.18
FILIPPINE
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Manila: condannato un poliziotto per la 'guerra alla droga'

di Stefano Vecchia

Un cambio di passo con la presidenza filippina di Ferdinand Marcos, che però è stato ben attento dall'esporsi sulle azioni del predecessore Rodrigo Duterte. Si tratta della seconda condanna dichiarata contro membri delle forze dell'ordine. L'agente Jefrey Perez ha ucciso e torturato due minorenni.

Manila (AsiaNews) - Il poliziotto Jeffrey Perez è stato condannato nelle Filippine per l’omicidio nel 2017 di due giovani nel contesto della “guerra alla droga” voluta dall’ex presidente Rodrigo Duterte. Perez è stato processato per il reato di tortura ma anche per aver manipolato le prove nel caso di Carl Angelo Arnaiz, assassinato insieme al 14enne Reynaldo de Guzman.

Per entrambi i casi Perez ha ottenuto l’ergastolo e dovrà pagare una somma di due milioni di pesos (circa 34mila euro) a ciascuna delle famiglie degli uccisi. Il poliziotto co-imputato per gli stessi reati, Rocky Arquilita, è deceduto in carcere per sospetta epatite tre anni fa.

Quella contro Perez è la seconda pena comminata ad appartenenti alle forze dell’ordine, alle quali Duterte aveva invece garantito l’immunità durante la violenta campagna ideata per estirpare spaccio e tossicodipendenza, ma costata – secondo le cifre del governo -  6mila morti. La prima condanna, nel 2018, contro tre poliziotti, era stata emessa dal tribunale di Caloocan, una delle municipalità di Metro Manila. Su Perez pende un altro giudizio da parte del tribunale di Navotas, sempre parte dell’area metropolitana della capitale.

Determinanti per arrivare al giudizio sono state alcune prove circostanziali presentate dall’accusa. A rendere la pena tanto severa è stata soprattutto la contraffazione di “prove” (droga e proiettili che avrebbero mostrato la necessità di autodifesa dei poliziotti) per giustificare il duplice assassinio. Nel caso della tortura, la corte ha indicato che, seppure in mancanza di testimonianze dirette, è da presumere che questa sia sempre presente in simili situazioni: “Chiaramente, la sequenza delle azioni degli accusati è indicativa dell’unità di intenti criminali, di una motivazione condivisa, di un’azione concertata e della coincidenza di sentimenti tipici di un complotto”.

Secondo Perez e il suo defunto complice, Arnaiz era stato ucciso perché aveva reagito all’arresto sparando dei colpi dopo avere derubato un tassista il 18 agosto 2017. Secondo l’accusa Arnaiz era stato invece fermato, ammanettato, picchiato e infine ucciso. Lo stesso tassista indicato come vittima di Arnaiz aveva ammesso che la sua testimonianza iniziale gli era stata estorta. Il cadavere trafitto dalle coltellate di De Guzman, avvistato con Arnaiz a Manila prima della scomparsa, era stato ritrovato diverse settimane dopo a un centinaio di chilometri di distanza nella città di Gapan.

Finora il presidente in carica Ferdinand Marcos Jr., che come vice-presidente ha la figlia di Duterte, Sara, non ha apertamente sostenuto le azioni del predecessore e non è nemmeno intervenuto sulle azioni giudiziarie in corso. Nei suoi interventi ha sottolineato l’approccio basato su educazione e riabilitazione anziché il pugno di ferro per contenere la tossicodipendenza. Per molti si tratterebbe di una tattica che privilegia la riparazione della reputazione del padre, il defunto dittatore omonimo, rispetto alla scomoda “eredità” di Rodrigo Duterte.

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