13/05/2020, 08.57
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Mekong: il Covid-19, più delle dighe, può alimentare il risentimento anti-cinese

La pandemia rischia di acuire le precarie condizioni dei pescatori thai e degli agricoltori vietnamiti e cambogiani. Le restrizioni conseguenza del virus potrebbero limitare il rifornimento di cibo nei mercati. In pericolo il fabbisogno alimentare di 60 milioni di persone nella parte bassa del fiume. 

Bangkok (AsiaNews/Agenzie) - L’emergenza innescata dal nuovo coronavirus rischia di aggravare le già precarie condizioni dei pescatori thai e degli agricoltori cambogiani e vietnamiti, che da anni lottano contro le dighe cinesi che hanno stravolto i livelli del fiume Mekong. Il terzo corso d’acqua per lunghezza di tutta l’Asia da anni è fonte di preoccupazione per ambientalisti ed esperti, per i continui e improvvisi cambiamenti nella portata d’acqua causate dalla siccità e dalle centrali idroelettriche nel primo tratto. 

A più riprese i pescatori thai denunciano un “crollo” nel pescato, mentre i contadini delle risaie in Cambogia e Vietnam abbandonano i campi e si trasferiscono in città, perché l’agricoltura non rende più. Alle 11 centrali idroelettriche cinesi, cinque delle quali sono attive dal 2017, si somma il problema legato alla crescente alternanza di tifoni e prolungate siccità. 

Teerapong Pomun, direttore del Mekong Community Institute, conferma al Scmp che “oggi i livelli delle acque fluttuano ogni due o tre giorni, lungo tutto l’arco dell’anno, e ciò avviene ogni anno, a causa delle dighe”. Secondo stime recenti sarebbe a rischio il fabbisogno alimentare di 60 milioni di persone nella parte bassa del fiume, in quella che viene considerata la “ciotola di riso dell’Asia”. 

Gli Stati Uniti accusano la Cina di “rubare” le risorse idriche della regione; Pechino respinge le teorie americane e punta il dito contro la siccità, nel 2019 la “peggiore mai registrata” degli ultimi 50 anni. Il Vietnam si è visto costretto a dichiarare lo stato di emergenza in cinque province del delta del Mekong e la situazione più grave si registra fra gli agricoltori, perché costretti a comprare pompe di acqua e i costi schizzano alle stelle. 

Zhang Hongzhou, studioso della Rajaratnam School of International Studies a Singapore, sottolinea che la situazione del fiume è “preoccupante”, in particolare per ciò che concerne “la sicurezza alimentare”. Bunleap Leang, direttore esecutivo di 3S Rivers Protection Network, aggiunge che “i campi coltivati diminuiscono, gli animali muoiono, e tutto questo ha un pesante impatto sul sostentamento delle persone, perché la loro vita dipende dalle risorse naturali”.

In Vietnam il pesce rappresenta fino all’82% delle proteine animali consumate a livello locale; entro la fine del 2020 il dato sulla pesca è destinato a diminuire del 40%, fino a crollare all’80% entro il 2040. Da un rapporto della Mekong River Commission (Mrc) emerge che il dato sulla pesca nel lago Tonle Sap, in Cambogia, dovrebbe passare da 350mila tonnellate a 260mila al 2020, poi 200mila nel 2040. Il pescato, prosegue il documento, è destinato a “calare in maniera sostanziale” a causa delle centrali idroelettriche “e al loro impatto su migrazioni, habitat e produzione primaria”. 

In questo contesto già critico si inserisce la pandemia di Covid-19 ad aggravare ancor più la situazione di pescatori e agricoltori come sottolinea Harris Zainul, analista dell’Institute of Strategic and International Studies in Malaysia. Il virus, spiega, potrebbe diventare una ulteriore fonte di contrasto nelle dispute già in atto attorno al Mekong, perché le chiusure e i blocchi adottati da molti Paesi potrebbero limitare il rifornimento di cibo nei mercati. Se ciò dovesse accadere, avverte lo studioso, potrebbe scatenare una rivolta in chiave anti-cinese - ritenuta responsabile per la diffusione della pandemia - ben più di quanto non sia successo per i problemi legati alle dighe.

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