19/11/2018, 11.37
ISRAELE - PALESTINA
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Mons. Pizzaballa: non c'è pace, né dialogo. Tutelare la stabilità della Terra Santa

Alcuni “canali di comunicazione”  hanno scongiurato la “inutile” escalation a Gaza. I cristiani della Striscia realtà attiva, che opera per “rafforzare” le relazioni interreligiose e sociali. L’unità fra le Chiese “fondamentale” per assicurare un futuro nella regione. Una testimonianza dell'amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme.

 

Gerusalemme (AsiaNews) - Nuove violenze a Gaza “sarebbero solo uno spargimento di sangue inutile”, che non cambierebbe nulla “a livello di territorio” e a questa conclusione “sono arrivati tutti”. In Terra Santa serve “stabilità”, anche perché “di negoziati di pace […] non se ne parla da anni”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini, sottolineando che “canali di comunicazione sottobanco” hanno favorito una rapida soluzione alla recente crisi nella Striscia. In questo contesto i cristiani pur essendo una “presenza piccola” operano “per rafforzare le relazioni interreligiose e sociali”.

Il 24 giugno 2016 l’ex custode di Terra Santa è stato nominato Amministratore Apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, con sede vacante, in seguito alle dimissioni per raggiunti limiti di età del patriarca Fouad Twal. Il 53enne arcivescovo ha ricevuto la consacrazione episcopale il 10 settembre 2016 nella cattedrale di Bergamo (Italia), diocesi di provenienza. Fine conoscitore della cultura ebraica, egli ha anche insegnato ebraico biblico alla Facoltà francescana di scienze bibliche e archeologiche di Gerusalemme e intrattiene molti rapporti con personalità ebraiche israeliane di primo piano. Ecco, di seguito, l’intervista di mons. Pizzaballa ad AsiaNews: 

Eccellenza, che clima ha incontrato a Gaza, in occasione della recente visita?
La comunità cristiana è piccola, sono ormai poco più 800 persone, e vivono una situazione surreale. La realtà di Gaza è comune a tutti: non c’è lavoro, le prospettive sono molto poche ed essendo cristiani il tutto è ancora più difficile, perché non viene dato loro lavoro. Sotto un profilo sociale ed economico è una situazione abbastanza complicata. Detto questo, io li ho trovati molto uniti. Una comunità attiva, che si ritrova, il cortile della chiesa è sempre pieno di bambini. Sono ben organizzati e sotto questo profilo sanno custodirsi e aiutarsi fra di loro. Questo è un punto reale importante.

La loro presenza e la loro testimonianza che valore hanno oggi nella Striscia?
Come ho detto sono 800 a fronte di due milioni di persone, quindi il rapporto è già evidente nei numeri. Ciononostante, vi sono tre scuole cristiane, una casa per disabili, dodici religiose molto attive, un ospedale cristiano [degli anglicani] importante. Pur essendo una presenza molto piccola, è molto attiva e molto vivace. Una caratteristica dei cristiani di Terra Santa è che non stanno mai con le mani in mano, ma operano non solo per custodire la loro presenza e la loro storia, ma anche per rafforzare le relazioni interreligiose e sociali.

Dunque una evangelizzazione attraverso le opere, come spesso accade in un Medio oriente a maggioranza musulmana…
Esatto! Questo è l’unico atteggiamento chiaro che possiamo avere per affermare chi siamo e a chi apparteniamo. 

Mons. Pizzaballa, si aspettava uno scoppio così improvviso della violenza?
Gaza sorprende sempre! E sorprende che ci si sorprenda sempre, nonostante tutto. Ha destato stupore anche la reazione [del governo di Israele] di cercare a tutti i costi un cessate il fuoco, che poi ha portato alle dimissioni del ministro della Difesa [Avigdor Lieberman]. Si percepisce che sottobanco vi sono dei canali di comunicazione, anche a fronte di una esplosione di violenza improvvisa che non deve meravigliare. Spero di sbagliare, ma non è improbabile che possa succedere ancora qualcosa. 

Anche se stavolta si è cercato di limitare i danni e trovare il prima possibile una via di uscita…
Credo che vi sia molto realismo, perché una nuova esplosione di violenza non cambierà nulla a livello di territorio, sia per Israele che per i palestinesi. Essa porterà unicamente maggiore odio e complicherà ancor più le cose, ma sotto il profilo militare e politico non cambierebbe nulla. Sarebbe solo uno spargimento di sangue inutile, e credo che a questa conclusione siano arrivati ormai tutti perché non è certo la prima volta che si verifica una crisi a Gaza. È chiaro che si deve trovare un’altra soluzione. 

Oltretutto, le politiche americane e di altri attori della regione non aiutano in un’ottica di pace...
Di colloqui di pace, ormai, ne parlano solo i giornalisti e gli opinionisti. Noi diciamo che abbiamo bisogno di stabilità, di cambiare passo, ma di negoziati di pace, di trattative, di ricerca di dialogo, purtroppo non se ne parla più da anni. Il problema è che non si discute: da un lato, non si affronta più la questione israelo-palestinese; dall’altro, le due parti in causa non si parlano più. Il punto fondamentale è tutto qui.

Il ruolo dei cristiani come ponte è ancora valido e plausibile?
Prima di tutto bisogna chiarire che questo non è il momento dei grandi gesti, delle grandi iniziative che possono cambiare il corso della storia in Medio oriente. È il momento di lavorare sul territorio nelle piccole realtà: scuole, ospedali, relazioni inter-familiari, questo è l’ambito in cui possiamo esprimerci e portare un contributo positivo nella vita sociale. In questo momento non c’è altro. 

Come è possibile sostenere questa vostra missione?
Innanzitutto con la preghiera. E poi con i pellegrinaggi, che sono importanti perché portano innanzitutto occasione di lavoro. [L’occupazione] è una grande necessità in Terra Santa. E poi parlare di questa realtà, farla conoscere a un numero crescente di persone. 

Ha parlato di pellegrinaggi: dopo un periodo di crisi, la tendenza si è invertita…
Sì, sono tantissimi e non si trovano quasi più posti per ospitarli. E le prossime festività di Natale sono una buona occasione per intraprendere questa esperienza. 

Eccellenza, quali urgenze porterà la Chiesa di Terra Santa al prossimo incontro dei patriarchi d’Oriente a Baghdad a fine mese?
Come patriarcato latino porteremo la nostra realtà, parleremo dei nostri problemi e ascolteremo gli altri. Questa è una occasione per condividere e vedere i problemi comuni, oltre che le possibili iniziative da percorrere. Un rafforzamento dell’unità fra Chiese è fondamentale e questo si vede un po’ in tutto il Medio oriente, dall’Iraq alla Siria, in Giordania e Terra Santa. Certo con dinamiche diverse, ma le relazioni sono molto migliori.

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