02/04/2008, 00.00
NEPAL – CINA – TIBET
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Nepal: carcere per 90 tibetani, Pechino lancia l’allarme kamikaze

Kathmandu avverte gli esuli tibetani: fermate le proteste o rischiate il rimpatrio. Pechino accusa il Tibet di preparare attacchi suicidi in Cina, mentre New Delhi chiede al Dalai Lama di non compromettere le relazioni indo-cinesi.
Kathmandu (AsiaNews) – La polizia nepalese conferma l’arresto di 90 attivisti tibetani, avvenuto ieri a Kathmandu, mentre il governo sottolinea che “per mantenere buone relazioni con la Cina, non saranno più ammesse proteste pro-Tibet”. Da parte sua, Pechino continua la campagna contro il Dalai Lama, accusato ancora una volta di essere “la vera mente dietro le proteste” e lancia l’allarme: “Pronti kamikaze disposti a tutto pur di distruggere l’armonia  interna della Cina”.
 
Basanta Rajouria, ufficiale della polizia nepalese, spiega: “Gli arresti sono avvenuti nei pressi dell’ambasciata cinese, mentre era in corso una manifestazione a favore dell’indipendenza del Tibet. Il governo è stato chiaro su questo punto: gli esuli tibetani in Nepal rischiano di essere rimpatriati, se non rispettano la nostra legge e mettono a rischio i nostri rapporti internazionali”.
 
Gli arrestati sono saliti sui blindati della polizia urlando “Rispettate le aspirazioni del Tibet” e “Fermate questa sanguinaria repressione”. In nottata, circa 50 manifestanti si sono riuniti davanti alla stazione di polizia dove sono rinchiusi gli esuli e ne hanno chiesto la liberazione.
 
Nel frattempo, la Cina continua la sua campagna contro il leader buddista. Yu Heping, portavoce dell’Ufficio di Pubblica sicurezza cinese, dice: “Sono pronti in Tibet e nelle regioni confinanti dei gruppi di lotta per l’indipendenza della regione. Questi, istigati dal Dalai Lama, progettano di utilizzare elementi suicidi per compiere attentati e distruggere l’armonia sociale del nostro Paese”.
 
Da Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, il capo del buddismo tibetano ha più volte rigettato le accuse di sedizione, ed ha ipotizzato che le violenze a Lhasa siano state scatenate da poliziotti cinesi travestiti da monaci buddisti, per giustificare la successiva repressione. La popolazione tibetana, ha detto il Dalai Lama, “è non-violenta. Mi viene in mente quanto accaduto nel 1959. In una fotografia un Lama impugna una spada, ma non è una spada tradizionale tibetana. Sappiamo che alcune centinaia di soldati si sono travestiti da monaci”.
 
L’India, intanto, sembra credere alle accuse di Pechino e chiede al Dalai Lama di “non indulgere in attività politiche che possano urtare la Cina”. Pranab Mukherjee, ministro indiano degli Esteri, sottolinea: “Il leader buddista è un nostro rispettato ospite, e noi continueremo ad offrirgli ospitalità. Tuttavia, durante la sua permanenza qui, non deve intraprendere attività politiche o fare qualunque cosa possa mettere a rischio i rapporti fra Pechino e New Delhi”.
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