26/10/2021, 13.43
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Onu: il 2020 è stato l'anno più caldo in Asia (INFOGRAFICA)

A dirlo è un rapporto della World Meterological Organization. Le conseguenze dei cambiamenti climatici nel continente sono catastrofiche: l'incremento delle temperature causa inondazioni, malattie, insicurezza alimentare, spostamenti di persone e perdite economiche ingenti.

Roma (AsiaNews) - Il 2020 è stato un anno particolarmente caldo per l’Asia: la temperatura media è stata di 1,39°C superiore a quella del periodo 1981-2010. A dirlo è un rapporto sullo stato del clima in Asia della World Metereological Organization delle Nazioni unite pubblicato oggi. Significa che l’anno della pandemia è stato il più caldo in assoluto in base ai dati che abbiamo a disposizione, e la tendenza continua a essere quella verso nuovi innalzamenti della temperatura. 

Le ondate di calore sono state più intense durante l’estate: a Verkhoyansk, a giugno, il mercurio è salito fino a 38°C, la temperatura più alta mai registrata a nord del circolo polare artico. 

I dati dicono che le conseguenze dei cambiamenti climatici in Asia sono catastrofiche: solo le inondazioni e le tempeste nel 2020 hanno colpito 50 milioni di persone e ne hanno uccise almeno 5mila. Ed è un dato inferiore alla media annuale degli ultimi due decenni, che parla di 158 milioni di persone colpite e circa 15.500 morti. 

In Afghanistan nell'agosto 2020 14 province sono state allagate, almeno 1.550 case sono andate distrutte e altre 2.400 danneggiate in maniera pesante. Ora a preoccupare chi si occupa di intervento umanitario e resilienza climatica è anche lo scioglimento dei ghiacci, che sono fondamentali per garantire la disponibilità di risorse idriche in tempi di siccità. Se, come dicono le ultime stime, i ghiacciai della regione (tra cui l’Himalaya) dovessero perdere fino al 40% della loro massa entro il 2050, a esserne colpiti sarebbero almeno 750 milioni di persone. 

Anche a causa del mutamento climatico il continente si sta allontanando dal raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibili dell’Onu: la sicurezza alimentare è diminuita, e nel 2020 la malnutrizione ha afflitto 48,8 milioni di persone nel sud-est asiatico, 305,7 milioni in Asia meridionale e 42,3 milioni in Asia occidentale. Il risultato è che la metà della popolazione denutrita di tutto il mondo si trova in Asia, con un incremento del 20% in Asia del Sud. L’aumento delle temperature favorisce inoltre il proliferare delle malattie: il rapporto sottolinea che in alcune regioni c'è stata una maggiore incidenza delle malattie diarroiche e di focolai di dengue.

Le perdite economiche, che rallentano lo sviluppo delle nazioni asiatiche, si calcolano nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari:  205 miliardi di euro in Cina, 75 miliardi in India e 71,5 miliardi in Giappone. Se si considerano invece le dimensioni dell'economia il cambiamento climatico ha intaccato il 7,9% del Pil in Tagikistan, il 5,9% in Cambogia e il 5,8% in Laos. Solo le inondazioni, per esempio, sono costate a India e Cina rispettivamente 22,6 miliardi e quasi 20 miliardi di euro. 

I profughi climatici in Asia sono già realtà: Cina, India e Bangladesh hanno anche registrato ciascuno tra i 4 e i 5 milioni di spostamenti di persone per ragioni climatiche. Nel campo profughi di Cox’s Bazar, che ospita soprattutto rohingya fuggiti dal Myanmar nel 2017, i monsoni hanno provocato frane che hanno costretto la gente a migrare di nuovo.

Il ciclone Amphan, che nel maggio 2020 ha devastato le coste del subcontinente indiano è l’esempio perfetto di come gli eventi estremi vadano a toccare tutti gli ambiti della vita umana: il tifone ha generato 2,4 milioni di sfollati in India e altri 2,5 milioni in Bangladesh. Molti rifugiati non hanno avuto accesso ai centri di evacuazione, perché l’intervento umanitario è stato ostacolato dalla pandemia da Covid-19, che ha costretto i governi di questi Paesi a imporre lockdown generalizzati che hanno, tra le altre cose, interrotto le catene di approvvigionamento alimentare. In Bangladesh Amphan ha distrutto 176mila ettari di terreno e 14mila capi di bestiame, andando ad alterare il funzionamento dei mercati locali e causando ulteriori difficoltà nel rifornimento di risorse.

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