27/08/2009, 00.00
INDIA
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Orissa: nel Kandhamal vige l’impunità, legge e ordine sono al tracollo

di K.P. Fabian
Ad un anno dalle violenze estremiste indù il futuro dei cristiani resta incerto. I colpevoli sono liberi di muoversi per il distretto e continuano le discriminazioni verso chi è tornato nella propria casa. Governo e polizia sono inerti. Segnali di speranza da alcuni villaggi dove cristiani e indù insieme si oppongono ai gruppi di estremisti.
Bhubhaneshwar (AsiaNews) - K.P. Fabian IFS è un diplomatico del governo indiano in pensione, ex-ambasciatore in Italia, Qatar, Finlandia e Canada. Attualmente è presidente dell’organizzazione umanitaria Indo-global Social Service Society. Nel luglio di quest’anno Fabian ha compiuto un viaggio nel distretto di Kandhamal in Orissa visitando i campi profughi, dove sono raccolti ancora molti cristiani, e incontrato il locale sopraintendente della polizia, leader cattolici e di altre confessioni cristiane. Ad un anno dalle violenze indù descrive la situazione di insicurezza in cui ancora oggi vivono le vittime dei pogrom dell’agosto 2008, l’impunità garantita ai colpevoli ed “ed il tracollo della legge e dell’ordine nel distretto”.
 
La normalità resta un sogno per le vittime dei pogrom anti-cristiani nel Kandhamal. La paura occupa ancora il cuore delle persone nel primo anniversario dell’uccisione di Swami Laxmanananda Saraswati, che ha scatenato le violenze su larga scala ed il tracollo della legge e dell’ordine nel distretto. La domanda su quale sarà il futuro dei cristiani nel Khandhamal resta ancora aperta.
 
Le atrocità sono state deliberate, pianificate e cercate. Sono avvenute anche perché era più che evidente, agli occhi dei responsabili delle violenze, che il governo statale non sarebbe intervenuto per prevenirle, né avrebbe preso iniziativa prima della loro messa in atto.
 
È stato molto imprudente, da parte del governo dello Stato, permettere che la processione del feretro dello Swami Lakshamananda durasse due giorni percorrendo 250 km. Lungo il suo cammino il corteo funebre si è fermato davanti a Chiese e a case di cristiani. Di fatto una buona parte delle violenze sono avvenute con il collector ed il sopraintendete di polizia che stavano a guardare.
 
In Orissa il primo attacco ad una Chiesa risale al 1967, il primo agguato ad una comunità cristiana è del 1984. Bisogna ricordare anche la riluttanza del governo a prendere iniziative legali quando Graham Staines, missionario protestante australiano, venne bruciato vivo insieme ai suoi due figli nel gennaio del 1999 [vedi AsiaNews, 20/01/2009, La vedova di Graham Staines: “Non perdere la speranza, pregare per l’India”].
 
Nel dicembre del 2007 ci furono altre aggressioni che hanno preceduto quelle dell’agosto 2008. Anche allora le autorità dell’Orissa non presero provvedimenti contro chi aveva promosso quella campagna di violenza contro i cristiani. E naturalmente le stesse persone hanno messo in atto i loro piani nell’agosto scorso, sicuri di restare impuniti.
 
Nel mio viaggio in Orissa ho incontrato per strada uno dei violentatori di suor Meena Barwa [vedi AsiaNews, 24/10/2008, “Suora violentata in Orissa accusa la polizia di essere ‘amica’ degli stupratori”]. Era alla guida di una moto e viaggiava nella direzione opposta alla mia. Mi è stato detto che anche suo figlio era tra le persone che hanno assalito lei e p. Thomas Chellan [vedi AsiaNews, 03/09/2008, “La Via crucis di p. Thomas in Orissa: Sono pronto a tornare e servire chi mi ha colpito”] . Il sistema giudiziario è guasto e non vuole toccarlo. Anche nel caso in cui venga ucciso un poliziotto o una stazione di polizia viene data alle fiamme - è successo a Gochapada nel Kandhamal - tutti gli accusati se la cavano. Questo è un chiaro segnale che lo Stato è incapace di difendere anche se stesso.
 
Tutto questo avviene perché certe persone hanno buoni e validi motivi di credere di poter restare immuni da un processo e che gli sfollati, scappati dopo le violenze, non faranno ritorno nelle loro case. C’è un clima di costante intimidazione dei testimoni. Eppure, in un villaggio, se due o tre persone venissero arrestate la situazione cambierebbe subito in meglio.
 
Quando qualcuno cerca di tornare nel suo villaggio viene sottoposto a discriminazioni sociali e altre forme di boicottaggio. Chi ha fatto ritorno nella sua casa vive tuttora serie difficoltà. Non ha accesso all’acqua o alla legna per fare il fuoco, non può comprare nei negozi di non-cristiani. Se è un lavoratore a giornata non trova un impiego.
 
Il governo centrale deve premere su quello dell’Orissa perché prenda iniziativa e mandi un segnale chiaro. Le autorità dello Stato devono far capire che chi ostacola il ritorno a casa degli sfollati sarà punito severamente, che tutti quelli che compiono violenze e distruggono proprietà altrui verranno iscritti nel registro degli indagati. Sono state depositate circa 2mila 600 denuncie e i casi registrati sono 700, ma la polizia non ha preso nessuna iniziativa e in alcuni casi i presunti colpevoli sono rimasti in libertà pagando la cauzione anticipatamente.
 
In questo scenario ci sono però alcuni segnali di speranza luminosi. In tre villaggi che ho visitato, Gohingia, Gundani, e Malikpadi, cristiani e indù insieme, hanno impedito alle folle di violenti di colpire. A Chanchedi e Gudrikia, chi ha attaccato i cristiani è stato costretto a chiedere scusa.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)
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