02/08/2019, 14.54
INDIA-COSTA D'AVORIO
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P. Rupak Lokhande, da Mumbai nella missione della Costa d’Avorio

di Rupak Lokhande

Missionario Pime da 15 anni, partirà fra breve verso il Paese dell’Africa occidentale. Come è cresciuta la sua vocazione, ricercando “qualcosa di grande” e vedendolo realizzato nella missione di due sacerdoti italiani a Mumbai, p. Antonio Grugni e p. Carlo Torriani. L’amore all’Africa e la ricchezza della fede della Chiesa in India.

Roma (AsiaNews) – Dall’India, Paese multiculturale e multireligioso, alla Costa d’Avorio, Paese anch’esso multiculturale e multireligioso: è il percorso di P. Rupak Lokhande, 44 anni, indiano di Mumbai, membro del Pime da 15 anni. Fra due settimane partirà per il Paese dell’Africa occidentale. Nel racconto delle sue prospettive missionarie e sulla storia della sua vocazione, emerge la gratitudine per aver incontrato due missionari italiani del Pime in India, p. Antonio Grugni e p. Carlo Torriani, che con la loro testimonianza gli hanno fatto comprendere che “Dio va oltre ogni frontiera, supera ogni barriera, inserendosi nel cuore della vita delle persone”. La via della testimonianza è quella dell’offerta della propria vita segnata dalla fede in Cristo: amore, servizio, perdono. Ecco quanto ci ha raccontato.

 

Sono nato nel 1975 ad Ahmednagar, cresciuto in un villaggio di pescatori vicino a Mumbai (Maharashtra). Ho 44 anni. Sono stato ordinato 15 anni fa, nel 2004.  Vengo da una parrocchia piuttosto antica e tradizionale, dedicata a san Sebastiano. Ho studiato nella scuola parrocchiale e poi sono andato all’università.

A decidermi per la vocazione missionaria nel Pime (Pontificio istituto missioni estere), hanno contribuito due fatti.

Il primo è la testimonianza di due missionari del Pime a Mumbai, p. Antonio Grugni e p. Carlo Torriani. Questi sono due grandi personaggi. Il Pime ha una parrocchia a Irla (Mumbai) e p. Grugni, che serviva quella parrocchia, veniva anche da noi per alcuni incontri coi giovani. Lui mi ha portato a visitare una volta il Lok Seva Sangham, un’associazione che lavora per la prevenzione della lebbra e nella cura dei lebbrosi. Io vi sono andato come volontario. Il Lok Seva Sangham era stato fondato da p. Torriani. In questo modo ho cominciato a pensare alla mia vocazione.

Io già pensano a diventare sacerdote. Ma quella di essere missionario mi è scaturita dal guardare a p. Grugni e p. Torriani. Questi due padri mi hanno colpito perché erano stranieri, ma parlavano la mia lingua, venivano nella mia parrocchia, erano di grande intelligenza. P. Torriani aveva impostato il suo centro per i lebbrosi ispirandosi alla filosofia del Mahatma Gandhi. Non era solo una persona che agiva, ma era profondamente dentro la mia cultura. Mi hanno fatto comprendere che Dio va oltre ogni frontiera, supera ogni barriera, inserendosi nel cuore della vita delle persone.

Allora ho pensato: se sarò prete, voglio essere così: incontrare altre culture, imparare altre lingue, inserirmi nella vita degli altri…

Ero colpito poi dalla loro concretezza. P. Grugni, che era medico, aveva un rapporto molto speciale coi giovani. Poi grazie a lui, ho anche incontrato le suore dell’Immacolata, che hanno una comunità e un lebbrosario a Versova (Mumbai). P. Grugni mi ha portato spesso in visita da loro.

Il secondo elemento che ha influenzato la mia scelta è che la mia chiamata è arrivata nel momento giusto: ero giovane, alla ricerca di ideali grandi e mi è capitata questa proposta intelligente, importante, spirituale. In questa ricerca di qualcosa di più grande avevo anche frequentato una scuola militare per tre anni (l’Indian Navy voluntary reserve), ma alla fine, la missione ha vinto.

Ho studiato nelle Filippine e dopo l’ordinazione ho lavorato nel seminario minore del Pime a Hyderabad. Poi, dopo gli studi di psicologia a Roma, sono stato inviato nel seminario maggiore del Pime a Pune. E finalmente è arrivato il momento di andare a vivere la missione in un altro Paese: il 17 agosto partirò per la Costa d’Avorio.

Il lavoro che mi attende è diverso da quello fatto finora: dal mondo dei seminari alla missione diretta. Ma ho atteso per lungo tempo questa possibilità. Da subito avevo sognato di poter andare in Africa, di fare lavoro pastorale. Durante la mia formazione, ho passato anche due anni in Papua Nuova Guinea. Già allora sognavo di poter vivere la missione diretta. Questo andare significa Dio stesso che cammina e che va oltre i confini che noi uomini poniamo al mondo. Perché poi l’Africa? Dell’Africa mi interessa la semplicità della vita, le bellezze naturali, la ricchezza umana e delle risorse, anche se il continente è segnato da calamità naturali e umane. Ma mi fa impressione la resilienza delle persone africane, la loro capacità di superare e resistere a tutto, costruendo ancora qualcosa di nuovo.

L’Africa è un continente multiculturale, con una popolazione che vive dell’essenziale, che si basa soprattutto sulla vita rurale. Desidero essere un prete vicino a questo mondo, ai villaggi, ai giovani, ai vecchi… Ho incontrato alcuni sacerdoti ivoriani e da loro ho percepito che quella Chiesa è attiva, vibrante. Mentre aspetto la partenza, sto leggendo libri sull’Africa e cerco video su Youtube. Quando ero in seminario, il mio rettore era p. Agostino Mundupalakal. Lui era stato missionario in Camerun e ci parlava sempre della bellezza dell’Africa, dei suoi paesaggi, della sua gente.

In Costa d’Avorio il Pime ha soprattutto lavoro pastorale e soprattutto nel mondo rurale, ma vi è qualcuno che lavora con gli studenti nelle università.

Che cosa porta alla Chiesa e alla società ivoriana un cattolico indiano? Noi in India siamo già in un contesto multiculturale e multireligioso. La Chiesa è una minoranza, il 2,3% della popolazione. Ma fin dagli inizi, la Chiesa ha avuto una grande influenza nella società con il suo impegno nella cultura, nella sanità, nella promozione umana. È stata una realtà che ha accompagnato la società indiana. Madre Teresa è il volto più noto della Chiesa indiana, vicina a coloro che soffrono e che sono più poveri. Pur essendo una cosa molto piccola, la Chiesa indiana ha sempre dato una grande testimonianza. E io penso che la mia testimonianza in Costa d’Avorio sarà su questa linea: accogliere la diversità delle culture, delle religioni, accompagnando le persone, esprimendo la novità del Vangelo e la vita della Chiesa.

Cosa può offrire la fede in Gesù Cristo alla popolazione della Costa d’Avorio?

La fede in Gesù Cristo cambia la persona e il modo di vedere. Proprio in India, nel mio contesto multireligioso, è visibile quanto la fede cristiana cambia il modo di percepirsi, il modo di guardare gli altri, paragonato alle altre tradizioni religiose. Amore, servizio, perdono, non come una strategia, ma come qualità che costituiscono la nostra persona e la nostra fede.

Poi ho una certezza: attraverso questa via, io diventerò più santo perché più si obbedisce al carisma missionario di questo istituto, il Pime, più verrà la crescita spirituale per la mia vita.

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