03/08/2022, 11.52
VATICANO
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Papa: non rimanga nascosta la verità sull’esplosione del porto di Beirut

Francesco rivolge un pensiero alle famiglie delle vittime di una “catastrofe senza precedenti”. Il pontefice ha poi ricordato il recente viaggio apostolico in Canada, occasione di riflessione, pentimento e riconciliazione. La richiesta di preghiera “per la pace nel mondo” e “specialmente in Ucraina”. 

Città del Vaticano (AsiaNews) - Alla vigilia del secondo anniversario dell’esplosione al porto di Beirut, papa Francesco ha voluto esprimere vicinanza a quanti furono colpiti da quella catastrofe senza precedenti, che costò la vita a 220 persone e provocò oltre 6mila feriti. “Il mio pensiero va alle famiglie delle vittime di quel disastroso evento e al caro popolo libanese", ha detto il santo padre al termine dell’udienza in aula Paolo VI in Vaticano. "Prego perché ciascuno possa essere consolato dalla fede, confortato dalla giustizia e dalla verità, che non può essere mai nascosta. Auspico che il Libano con l’aiuto della comunità internazionale, continui a percorrere il cammino della rinascita, rimanendo fedele alla propria vocazione di essere terra di pace e di pluralismo, dove le comunità di religioni diverse possano vivere in fraternità”.

L’udienza di questa mattina - la prima del mese di agosto, dopo l’interruzione di luglio - è stata dedicata al recente viaggio in Canada (dal 24 al 30 luglio). Si è trattato di un viaggio papale diverso dagli altri, per esprimere vicinanza e dolore alle popolazioni originarie e “chiedere loro perdono per il male arrecato da quei cristiani, tra cui molti cattolici, che in passato hanno collaborato alle politiche di assimilazione forzata e di affrancamento dei governi dell’epoca”. Il pontefice ha ricordato che in Canada la Chiesa, insieme ai popoli indigeni, ha iniziato “un cammino di riconciliazione e di guarigione, che presuppone la conoscenza storica, l’ascolto dei sopravvissuti, la presa di coscienza e soprattutto la conversione, il cambiamento di mentalità”. È stato dunque un pellegrinaggio penitenziale, quello intrapreso da Francesco, caratterizzato da un tono di riflessione, pentimento e riconciliazione.

Le grandi tappe del pellegrinaggio sono state all’insegna della memoria, della riconciliazione  e infine della guarigione: la prima, a Edmonton, nella parte occidentale del Paese; la seconda, a Québec, nella parte orientale; la terza nel nord, a Iqaluit, a 300 km dal circolo polare artico. A Masqwacis, insieme ai membri dei principali gruppi indigeni (First Nations, Métis e Inuit), “abbiamo fatto memoria della storia millenaria di questi popoli, in armonia con la loro terra e abbiamo raccolto la memoria dolorosa dei soprusi subiti, anche nelle scuole residenziali, a causa delle politiche di assimilazione culturale”, ha ricordato il papa. La seconda tappa è stata incentrata sulla riconciliazione, “un lasciarsi riconciliare da Cristo, che è la nostra pace (cfr Ef 2,14)”. Il terzo passo è stato sulle rive del Lago Sant’Anna, perché per Gesù il lago era un ambiente familiare. “Tutti possiamo attingere  a Cristo, fonte di acqua -  ha detto il papa -. In Gesù abbiamo visto la vicinanza del Padre che ci dà la guarigione delle ferite e il perdono dei peccati”.

“Da questo percorso di memoria, riconciliazione e guarigione scaturisce la speranza per la Chiesa, in Canada e in ogni luogo”, ha affermato Francesco. Davanti ai governanti, ai capi indigeni e al corpo diplomatico, il papa ha ribadito la volontà fattiva della Santa Sede e delle comunità cattoliche locali di promuovere le culture originarie, con percorsi spirituali appropriati e con l’attenzione alle usanze e alle lingue dei popoli. Nello stesso tempo, il santo padre ha voluto aprire gli occhi “sulle colonizzazioni ideologiche, che minacciano le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli” e ha invitato a recuperare “un’armonia tra la modernità e le culture ancestrali, tra la secolarizzazione e i valori spirituali”. È una sfida che interpella direttamente la missione della Chiesa, inviata in tutto il mondo a testimoniare e “seminare” una fraternità universale che rispetta e promuove la dimensione locale con le sue molteplici ricchezze. Il papa ha voluto ringraziare i vescovi del Canada per la loro unità: “Dove c’è unità si può andare avanti”.  Ha ricordato infine l’ultimo incontro, in cui ha ascoltato storie di anziani che avevano familiari abusati e dispersi: “È stato un momento molto doloroso, ma si doveva mettere la faccia. Dobbiamo metterci la faccia, davanti ai nostri errori, ai nostri peccati”.

Al termine dell’udienza, salutando i pellegrini polacchi, il papa ha ricordato che in agosto tanti si recano a piedi a Jasna Góra e ad altri santuari mariani: “Vi chiedo di offrire le fatiche del vostro cammino anche per la Chiesa, per la pace nel mondo, specialmente in Ucraina - ha detto -. Saluto le Suore di Santa Elisabetta, che stanno vivendo qui a Roma il tempo di rinnovamento spirituale: molte di loro lavorano in Ucraina. La Madre di Dio ottenga abbondanti grazie divine su di loro e sulle persone a cui portano aiuto”.

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