04/12/2021, 16.29
VATICANO - GRECIA
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Papa in Grecia: serve un cambio di passo in politica, perché la democrazia arretra

La democrazia “è complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società, preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e malcontento portano a una sorta di ‘scetticismo democratico’”. Veleni mondani” hanno contaminato nel corso della storia le “radici apostoliche” comuni di cattolici e ortodossi.

Atene (AsiaNews) – Serve “un cambio di passo” in campo politico, nei confronti dei migranti e della natura e bisogna guardare alle differenze esistenti tra cristiani all’interno della comunione esistente tra loro dai tempi apostolici. Arrivato stamattina in Grecia, seconda e ultima tappa del suo 35mo viaggio fuori d’Italia, papa Francesco ha reso omaggio a quella cultura alla quale si devono l’idea stessa di democrazia e la prima diffusione del cristianesimo.

Europa, politica e democrazia sono stati gli argomenti centrali del lungo discorso di Francesco nel palazzo presidenziale di Atene, dove è stato ricevuto dalla presidente della Repubblica Ekaterini Sakellaropoulou, e, successivamente ha incontrato (nella foto) i membri del governo e del corpo diplomatico, delle autorità religiose e civili, dei rappresentanti della società e del mondo della cultura.

Proprio ricordando le radici della democrazia dovute alla Grecia, Francesco ha parlato di "un arretramento della democrazia". “Essa richiede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza. È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società, preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e malcontento portano a una sorta di ‘scetticismo democratico’. Ma la partecipazione di tutti è un’esigenza fondamentale; non solo per raggiungere obiettivi comuni, ma perché risponde a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti”. "Ma – ha aggiunto - c’è pure uno scetticismo nei confronti della democrazia provocato dalla distanza delle istituzioni, dal timore della perdita di identità, dalla burocrazia".

Il rimedio a tale situazione “non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità, nella proclamazione di promesse impossibili o nell’adesione ad astratte colonizzazioni ideologiche, ma sta nella buona politica. Perché la politica è cosa buona e tale deve essere nella pratica, in quanto responsabilità somma del cittadino, in quanto 'arte del bene comune'. Affinché il bene sia davvero partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli. Questa è la direzione da seguire”. “Un cambio di passo in tal senso è necessario, mentre, amplificate dalla comunicazione virtuale, si diffondono ogni giorno paure e si elaborano teorie per contrapporsi agli altri. Aiutiamoci invece a passare 'dal parteggiare al partecipare'; dall’impegnarsi solo a sostenere la propria parte al coinvolgersi attivamente per la promozione di tutti”. E “la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord”.

Ancora quei migranti per i quali il Papa continua a chiedere solidarietà, come ha detto ancora ieri a Cipro, e tra i quali andrà domani per quella visita a Lesvos che rappresenta forse il momento più atteso del viaggio. “Vorrei esortare nuovamente a una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione migratoria, e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché, secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a fuggire in cerca di casa e di speranza. Sono i protagonisti di una terribile moderna odissea”.

Secondo appuntamento della giornata, quello con la Chiesa ortodossa. Francesco si è infatti recato prima all’Arcivescovado Ortodosso di Grecia per la visita di cortesia a Ieronymos II, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, e poi all’Arcivescovado ortodosso di Grecia.

Sono venuto, ha detto il Papa, “con grande rispetto e umiltà, per rinnovare quella comunione apostolica e alimentare la carità fraterna”. Essa ha “radici comuni” apostoliche. “Sono quelle apostoliche. San Paolo le metteva in luce ricordando l’importanza di essere «edificati sopra il fondamento degli apostoli» (Ef 2,20). Queste radici, cresciute dal seme del Vangelo, proprio nella cultura ellenica hanno cominciato a portare grande frutto: penso a tanti Padri antichi e ai primi grandi Concili ecumenici. In seguito, purtroppo, siamo cresciuti lontani. Veleni mondani ci hanno contaminato, la zizzania del sospetto ha aumentato la distanza e abbiamo smesso di coltivare la comunione”. “La storia – ha detto ancora - ha il suo peso e oggi qui sento il bisogno di rinnovare la richiesta di perdono a Dio e ai fratelli per gli errori commessi da tanti cattolici. È però di gran conforto la certezza che le nostre radici sono apostoliche e che, nonostante le storture del tempo, la pianta di Dio cresce e porta frutti nello stesso Spirito”.

“Eppure – ha aggiunto - se le tradizioni proprie e le specificità di ciascuno portano ad arroccarsi e a prendere le distanze dagli altri, se «l’alterità non è qualcosa di qualificato dalla comunione, può difficilmente dar vita a una cultura soddisfacente» (I. Zizioulas, Comunione e alterità, Roma 2016, 16). La comunione tra i fratelli, invece, porta la benedizione divina. È comparata dai Salmi a «olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba» (Sal 133,2). Lo Spirito che si riversa nelle menti ci sospinge infatti a una fraternità più intensa, a strutturarci nella comunione. Non temiamoci dunque, ma aiutiamoci ad adorare Dio e a servire il prossimo, senza fare proselitismo e rispettando pienamente la libertà altrui, perché – come scrisse san Paolo – «dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2 Cor 3,17). Prego affinché lo Spirito di carità vinca le nostre resistenze e ci renda costruttori di comunione, perché «se davvero l’amore riesce a eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è l’unità» (S. Gregorio di Nissa, Omelia 15 sul Cantico dei Cantici)”.

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