17/01/2016, 18.40
VATICANO-EBRAISMO
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Papa: Cattolici ed ebrei “fratelli e sorelle”, con “un legame unico e peculiare”

Nella sua prima visita alla sinagoga di Roma, papa Francesco ricorda i frutti di 50 anni di dialogo fra cattolici ed ebrei, dopo la Nostra Aetate: “’sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; ‘no’ ad ogni forma di antisemitismo”. L’invito a lavorare insieme per una “ecologia integrale” e per la giustizia e la pace, difendendo la vita “dono di Dio”. Gli interventi di Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica romana, Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, che hanno chiesto un’alleanza contro il terrorismo. Il ricordo commosso per i sopravvissuti alla Shoah. Il discorso del papa interrotto 16 volte dagli applausi e da una ovazione.

Roma (AsiaNews) -  Cattolici ed ebrei sono “fratelli e sorelle” per “un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo”. Questo porta ad approfondire il dialogo teologico fra le due comunità, iniziato 50 anni fa dopo il Concilio Vaticano II, e alla collaborazione per una “ecologia integrale” nella “cura del creato” e per difendere la vita “quale dono di Dio”, contro “la violenza dell’uomo sull’uomo”. È il messaggio che oggi papa Francesco ha portato alla comunità ebraica di Roma, visitando la sinagoga (o “Tempio maggiore”) della città, alla presenza anche di rappresentanze ebraiche da tutta Europa.

Il pontefice è giunto verso le 16 davanti alla sinagoga e ha incontrato le autorità della comunità: Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica romana, Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah. Ha poi deposto dei fiori davanti a due lapidi: quella che ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943; quella che ricorda il piccolo Stefano Gai Taché, ucciso da un commando terrorista palestinese nel 1982. Dopo essersi soffermato in silenzio, il pontefice ha salutato i familiari e i sopravvissuti all’atto terrorista, quindi è entrato nel tempio, accompagnato dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Il papa è avanzato lentamente, stringendo le mani ai presenti schierati sulle due ali di uno stretto corridoio. L’atmosfera era molto amichevole. Alcune donne si sono lanciate abbracciandolo e baciandolo. Uno dei sopravvissuti all’attacco terrorista palestinese del 1982 gli ha detto: “Lei è molto simpatico e le vogliamo tutti bene!” E poi ha aggiunto: “Visto che lei è un ricostruttore, perché non rimette la festa della circoncisione di Gesù, come era durante la mia infanzia?”. L’anziano ebreo si riferiva alla festa della Circoncisione di Gesù il 1° gennaio, che dopo il Vaticano II è stata sostituita dalla solennità di Maria Madre di Dio.

Nel Tempio affollatissimo ha preso la parola anzitutto Ruth Dureghello. Dopo aver ricordato le visite di Giovanni Paolo II (nel 1986) e di Benedetto XVI (2010), la presidente della comunità ebraica romana si è augurata una maggiore collaborazione fra ebrei e cattolici, perché “le religioni devono rivendicare uno spazio nella società per partecipare alla soluzione dei problemi … e combattere i mali del nostro tempo”. Ha chiesto poi che si combatta l’antisemitismo anche quando esso si nasconde dietro un “attacco deliberato contro [lo Stato d’] Israele”. E ha elencato tutta una serie di atti terroristi subiti dagli ebrei in Israele, ad opera dell’Intifada dei coltelli e dei missili da Gaza. Essa ha comunque espresso la speranza che “anche i musulmani” – spesso vittime anch’essi di terrorismo - partecipino alla “rigenerazione del mondo sotto l’impero dell’Onnipotente”.

Anche Renzo Gattegna ha parlato delle minacce comuni che gravano su “cristiani ed ebrei …costretti a difendersi da nemici comuni che usano il nome di Dio per compiere crimini contro l’umanità” e ha suggerito “una forte coalizione basati sul rispetto della vita e della pace”.

Riccardo Di Segni ha prima ricordato che l’evento del Giubileo lanciato da papa Francesco quest’anno ha radici ebraiche per una “rifondazione della società sulla base della giustizia, della dignità, della misericordia. Un patrimonio comune che consideriamo sacro”. Dopo aver suggerito che la visita del papa diventi una “consuetudine”, ha manifestato Una “urgenza dei tempi”: “Il Vicino oriente e l’Europa sono travagliati dal terrorismo. Dopo due secoli di violenze improntati da nazionalismi e razzismi, ora vi è violenza che si ispira alla religione e porta alle persecuzioni di comunità religiose. Questo incontro è un baluardo contro l’invasione e la sopraffazione di tale violenza”.

Francesco ha preso la parola ringraziando per l’accoglienza con un saluto in lingua ebraica: “Todà rabbà (grazie)!”. Anche lui ha definito quella di oggi la sua “prima visita” alla comunità ebraica, forse per dare quella “continuità” sperata anche dal rabbino capo, sul modello dei rapporti che l’allora card. Begoglio aveva a Buenos Aires. Ricordando quel periodo, il papa ha detto: “Le nostre relazioni mi stanno molto a cuore”.

Egli ha poi sottolineato i valori di un dialogo fra cattolici ed ebrei: “Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr Dich. Nostra aetate, 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”.

Egli ha anche messo in luce i risultati ottenuti dopo la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, di 50 anni prima, che “ha tracciato la via” nel rapporto fra Chiesa cattolica ed ebraismo: “’sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; ‘no’ ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”. Qui i presenti hanno applaudito in modo molto vivace.

Il papa ha poi esortato a continuare “la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico”, ribadendo che “i cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele”.

Più che a una lotta contro il terrorismo, il pontefice si è augurato che cattolici ed ebrei collaborino anzitutto per una “ecologia integrale …. [che] come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato”. In secondo luogo la collaborazione deve avvenire nel campo della giustizia e della pace.

“La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio”.

“Il quinto comandamento del Decalogo dice: «Non uccidere» (Es 20,13). Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla”.

“Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.

Un ultimo pensiero è stato rivolto ai sopravvissuti della Shoah: “le loro sofferenze – ha detto -  le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate.  E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”.

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