27/01/2023, 12.36
ISRAELE - PALESTINA
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Parroco di Jenin: ‘Calma’ apparente dopo il ‘crimine’, rischio ‘deriva di sangue’

Ieri in Cisgiordania si sono registrate 10 vittime, nove in seguito a un raid dell’esercito in un campo profughi, un manifestante ucciso a nord di Gerusalemme. Raid aerei nella notte a Gaza in risposta al lancio di razzi dalla Striscia. P. Deibes: la “normalità” di questi eventi il “motivo principale di vergogna”. 

Gerusalemme (AsiaNews) - A Jenin si respira un clima di “calma” apparente, come spiega ad AsiaNews il parroco della chiesa del Santo Redentore p. Labib Deibes, dopo il sanguinoso raid dell’esercito israeliano di ieri, che ha innescato proteste e pesanti scontri in tutta la Palestina, oltre al lancio di razzi da Gaza. Obiettivo dell’operazione una “cellula jihadista” nel locale campo profughi, ma l’assalto si è poi esteso trasformandosi in uno scontro aperto fra militari e popolazione civile, con lancio di sassi e pietre.

Il bilancio parla di nove vittime - tra cui i due fratelli Mohammad e Nureddin Ghneim e un terzo membro sospettato di affiliazione alla Jihad Islamica - e almeno 20 feriti, di cui quattro in modo grave e ricoverati all’ospedale Ibn Sina di Jenin. Nel pomeriggio è morto un altro giovane di 22 anni ad Al-Ram, a nord di Gerusalemme, colpito dalle Forze di sicurezza durante le proteste divampate in molte aree della Cisgiordania. 

“Ora la situazione è più tranquilla” sottolinea p. Deibes, dopo le gravi violenze di ieri innescate “dall’arrivo dei militari israeliani”. La loro azione, prosegue, costituisce “un crimine” contro la popolazione che però “non nutre paure particolari oggi, perché siamo abituati alle violenze. Forse è proprio la normalità di questi eventi - aggiunge - a costituire il motivo principale di vergogna”. In Occidente, in Europa “si parla di energia, di prezzi” mentre noi “abbiamo bisogno ancor prima della libertà, di non vivere sotto una costante occupazione che mette in pericolo anche i cristiani”, i quali guardano con maggiore frequenza “alla fuga, all’emigrazione”. Pregate per noi, conclude il sacerdote, perché “in passato si combatteva con le pietre, oggi con le armi ed è forte il rischio di una ulteriore deriva di sangue. Quello da poco concluso è stato un anno di morti, ma il 2023 sembra essere partito in modo ancora peggiore”. 

Le tensioni di ieri sono proseguite nella notte con l’aviazione di Israele che ha compiuto diversi attacchi a Gaza in risposta al lancio di missili dalla Striscia verso il sud del Paese. Fonti di Hamas parlano di 15 obiettivi presi di mira dall’aeronautica israeliana, ma non si registrano ulteriori vittime o feriti. In precedenza, almeno due razzi erano partiti dalla Striscia di Gaza verso lo Stato ebraico poco prima della mezzanotte, subito intercettati e distrutti dal sistema di difesa Iron Dome. Sirene per il possibile arrivo di razzi erano risuonate nella cittadina costiera di Ascalon e nei kibbutz di Zikim e Karnia; anche in questo caso non si contano ulteriori danni o feriti. Intanto l’Autorità nazionale palestinese ha tagliato i rapporti in materia di sicurezza con Israele, mentre il numero delle vittime di violenze da inizio anno è già salito a 26. A preoccupare è l’approccio intransigente del nuovo governo israeliano di Benjamin Netanyahu, formato da partiti religiosi e di estrema destra che non esitano all’uso della forza alimentando al tempo stesso tensioni nei luoghi santi a Gerusalemme.

Jenin, dove è avvenuto il raid, è la cittadina palestinese in cui è stata uccisa l’11 maggio scorso in circostanze analoghe la giornalista cristiana Shireen Abu Akleh. La cronista è stata colpita da un proiettile, esploso da un soldato israeliano durante una operazione di pattugliamento. Due giorni più tardi, il 13 maggio, durante il corteo funebre che dall’ospedale st. Joseph la trasportava al luogo di sepoltura, la polizia in tenuta antisommossa ha attaccato la folla, facendo vacillare la bara. La famiglia, ricevuta dal papa, ha fatto ricorso alla Corte penale internazionale per ottenere giustizia, mentre Israele ha secretato l’inchiesta. 

La sua morte, simbolo di un anno di violenze e morti passate sotto silenzio della comunità internazionale, è avvenuta in un’area che condivide le stesse sfide che si trovano ad affrontare gran parte delle città palestinesi: occupazione e blocchi delle strade; crisi economica e una forte disoccupazione giovanile; lo sfollamento in altre zone della Palestina o all’estero. La popolazione di Jenin è composta da 50mila abitanti, mentre i cristiani sono circa 150, tutti cattolici. Nell’area operano le religiose della Congregazione delle Figlie di Sant’Anna ed è attivo un asilo che ospita al suo interno circa 90 bambini cristiani e musulmani, gestito da un gruppo educativo e amministrativo formato da una donna cristiana, due insegnanti musulmani e due cristiani.

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